I ricollocamenti dei migranti, che l’Italia avrebbe voluto obbligatori, restano invece volontari ma in cambio Roma ottiene il via libera alla possibilità di rimandare uomini, donne e bambini nell’ultimo paese di transito non europeo attraversato, purché ritenuto sicuro.

È il compromesso raggiunto ieri in extremis al vertice dei ministri dell’Interno riuniti a Lussemburgo e che ha permesso di arrivare, dopo quasi tre anni all’approvazione del Patto su immigrazione e asilo con un voto a maggioranza qualificata che ha visto l’Italia della premier Giorgia Meloni separarsi da alleati storici come Polonia e Ungheria, contrari alle sanzioni previste per chi non ricolloca, astenuti insieme a Slovacchia, Lituania, Malta e Bulgaria.

«Abbiamo scongiurato l’ipotesi che l’Italia e tutti gli Stati membri di primo ingresso venissero pagati per mantenere i migranti irregolari nei propri territori. L’Italia non sarà il centro di raccolta degli immigrati per conto dell’Europa», esulta il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, mentre soddisfazione viene espressa anche dal presidente del consiglio Ue Charles Michel e dalla commissaria per gli Affari Interni Ylva Johansson: «Quello di oggi è un passo estremamente significativo per quanto riguarda l’immigrazione – ha detto la commissaria -. Attendiamo di iniziare i triloghi con il Parlamento Ue. Siamo molto piu’ forti quando lavoriamo insieme».

L’accordo di ieri segna l’avvio dei negoziati con i parlamento europeo che dovrebbero portare all’approvazione finale del Patto prima della fine della legislatura, prevista per la primavera del 2024. Naturalmente per quanti tentano di raggiungere l’Europa si tratta di una brutta notizia anche se non certo di una novità.

Di paesi di transito non europei dove rispedire i migranti si parlava già nei regolamento procedure presentati dalla Commissione Ue nel 2006 e 2020, senza però mai procedere. Salvo che in un’occasione: il patto siglato con la Turchia nel 2016 dopo il quale, con un accordo siglato separatamente, la Grecia può rimandare indietro i migranti che attraversano i confini di Ankara.

Il punto è stato al centro del vertice di ieri che ha più volte sfiorato il fallimento proprio perché non si riusciva a trovare un accordo che consentisse di procedere.

A spingere sulla possibilità di trasferire in un paese diverso da quello di origine, purché sufficientemente sicuro e purché esista una «connessione» sufficiente (ad esempio averci vissuto per alcuni anni), i migranti ai quali è stata rifiutata la protezione internazionale, è stata soprattutto l’Italia con il ministro Piantedosi insieme a Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Grecia, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia e Slovenia. Contraria la Germania, che invece chiedeva invece che il rinvio nel paese di transito potesse avvenire solo n caso di dimostrato legame.

Un punto sul quale le trattative si sono arenate per ore, tanto che a metà pomeriggio si arriva all’ultimo, decisivo incontro ristretto tra Commissione Ue, presidenza svedese, Francia, Italia, Spagna, Germania e Olanda che mette fine allo stallo. «I paesi terzi devono avere la capacità di gestire le loro richieste e li dobbiamo aiutare per questo, ma non devono sostituire i centri per la gestione delle richieste di asilo nei paesi Ue», ha sottolineato Johansson.

Adesso andrà compilata una lista europea dei paesi terzi ritenuti sicuri. Tra requisiti previsti in passato c’era l’obbligo per il paese in questione avesse sottoscritto la Convenzione di Ginevra, cosa che oggi non sarebbe più necessaria.

Tra gli altri punti del patto c’è l’obbligo per i paesi di primo approdo di allestire nei pressi delle frontiere centri dive richiedere i richiedenti asilo in attesa che venga esaminata la domanda di protezione con l’esclusione, decisa ieri, delle famiglie con minori, E la cosiddetta «solidarietà obbligatoria».

Ogni anno viene stabilita una quota di migranti da ricollocare tra gli Stati membri in base alla popolazione e al Pil, si parla di 30 mila, lasciando però liberi di governo di accogliere o no. Chi si rifiuta dovrà però pagare 20 mila euro per ogni mancato ricollocamento. Motivo alla base dell’astensione di Ungheria e Polonia.

CARLO LANIA

da il manifesto.it

foto: screenshot tv