La promulgazione da parte del presidente della Repubblica della legge contro la produzione e la commercializzazione della carne coltivata costituisce, a quanto è dato sapere, un inedito. Mai prima d’ora, infatti, l’atto che certifica la regolare approvazione della legge, e che apre quindi la strada alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e alla sua entrata in vigore, era stato accompagnato da una lettera d’impegno del governo a introdurre le modifiche che dovessero essere richieste dalla Commissione europea.

Come recita il comunicato, il governo ha trasmesso il disegno di legge approvato dalle camere al Quirinale «accompagnandolo con una lettera con cui si è data notizia dell’avvenuta notifica del disegno di legge alla Commissione europea e con l’impegno a conformarsi a eventuali osservazioni che dovessero essere formulate dalla Commissione nell’ambito della procedura di notifica».

Per meglio cogliere i profili della vicenda, occorre considerare che, secondo quanto sancito dal diritto europeo, le normative contenenti regolamentazioni tecniche che potrebbero introdurre ostacoli o barriere al mercato interno devono essere notificate alla Commissione europea prima della loro adozione, al fine di mettere quest’ultima – nella sua veste di «guardiana dei Trattati» – e gli altri Stati dell’Unione europea in condizione di formulare le proprie osservazioni critiche preliminarmente al verificarsi di effetti distorsivi.

Qualora ciò avvenga, lo Stato che intende adottare la regolamentazione deve spiegare come si comporterà rispetto alle osservazioni ricevute e, successivamente, trasmettere alla Commissione il testo normativo infine adottato, in modo che quest’ultima e gli altri Stati membri possano verificare se e in che misura le proprie osservazioni siano state effettivamente prese in considerazione.

Naturalmente, il rispetto della procedura di notificazione non impedisce che l’atto normativo contenente le regolazioni tecniche possa essere, successivamente alla sua entrata in vigore, sottoposto al controllo giurisdizionale dei giudici nazionali e della Corte di Giustizia dell’Unione europea, sulla base delle consuete regole che dispongono la non applicazione del diritto interno contrastante con il diritto dell’Unione europea e l’applicazione di quest’ultimo.

Come si spiega, allora, il comunicato con cui il Quirinale dà conto dell’impegno del Governo a notificare alla Commissione la legge dopo la sua approvazione e ad adeguarsi alle richieste di modifica che eventualmente dovesse ricevere?

Dal sito dell’Unione europea risulta, infatti, che l’Italia ha avviato la procedura di notifica il 27 luglio 2023, ma ha poi provveduto a chiuderla il 30 ottobre successivo, ritirando il progetto di regolazione. La legge è stata, tuttavia, definitivamente approvata dalla camera dei deputati il 16 novembre 2023 (dopo che il senato della Repubblica l’aveva approvata in prima lettura il 19 luglio 2023).

Se ne deve, evidentemente, concludere: che la procedura di notifica non è stata correttamente osservata (ipotesi nella quale la Corte di Giustizia dell’Unione europea prevede che l’atto normativo possa rimanere inapplicato innanzi ai tribunali nazionali); che il Governo si è impegnato a riattivarla ex post factum e a conformarsi alle osservazioni che dovessero eventualmente essere formulate; che il presidente della Repubblica, sulla base di tale impegno, ha comunque provveduto alla promulgazione nonostante la forzatura governativa, consentendo così al governo di appuntarsi sul petto una medaglia destinata, con ogni probabilità, a essergli strappata dalla Commissione europea.

Un modo curioso di difendere le ragioni dell’Europa, cui pure il presidente Mattarella ha dedicato tanto generoso impegno.

Infine, c’è da dire dell’ennesima umiliazione inflitta al parlamento: l’organo che dovrà in concreto adeguare la legge alle indicazioni europee risulta, dal punto di vista formale, rimasto estraneo alla negoziazione intercorsa tra Quirinale e palazzo Chigi, che evidentemente ritengono di disporre liberamente delle sue competenze (che, pure, sarebbero espressione della sovranità popolare).

È vero che, grazie anche ai controlli «a maglie larghe» della presidenza della Repubblica, il vero potere legislativo nel nostro ordinamento è oramai esercitato dal governo, tramite il decreto-legge. Ma che le competenze parlamentari fossero a totale disposizione degli altri organi costituzionali coinvolti nella forma di governo, prima d’oggi nessun atto formale aveva ancora osato dichiararlo nero su bianco.

FRANCESCO PALLANTE

da il manifesto.it

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