Un fine settimana di provincialismo politico

Il livello degli argomenti affrontati nei dibattiti sviluppatisi nel corso delle tre kermesse“politiche” svoltesi nel fine settimana appena trascorso (congresso di Sinistra italiana, convegno di “Rivoluzione Socialista”, Assemblea nazionale del...

Il livello degli argomenti affrontati nei dibattiti sviluppatisi nel corso delle tre kermesse“politiche” svoltesi nel fine settimana appena trascorso (congresso di Sinistra italiana, convegno di “Rivoluzione Socialista”, Assemblea nazionale del PD) ha fornito complessivamente una visione realistica del provincialismo politicista che domina il sistema politico italiano nelle sue diverse espressioni.

Nel complesso non si è sfuggiti a un’idea di uso della tattica davvero determinato dall’ansia della sorte di piccoli gruppi di potere (se non a livello personale) quale espressione materiale di ciò che è avvenuto in questi anni in tema di progressivo smarrimento delle coordinate di fondo di una qualsivoglia ipotesi di cambiamento, di proposta d’alternativa, d’idea di opposizione all’esistente dominante.

Non si venga a raccontare che l’immediatezza della posta in palio ha finito con l’oscurare la qualità della ricerca dei motivi possibili per un dibattito di merito.

Neppure si è avuta l’antica contrapposizione tra massimalisti e “realisti” (fautori del reale) di cui pure si avevano avuti cenni nel congresso di Podemos.

Tutti intenti a guardare il birillo al centro del biliardo di Foligno pare proprio che gli intervenuti non siano neppure stati sfiorati dall’idea di affrontare la complessità delle contraddizioni che stanno attraversando il pianeta e che richiederebbero ben altro slancio nella ricerca e nell’affermazione politica.

Eppure non tutto tace e fermenti si muovono anche sul piano intellettuale.

Ne fa fede, come piccolo esempio, il “dibattito delle idee” lanciato dalla “Lettura” del Corriere della Sera in un articolo di Donatella Di Cesare che può essere riassunto riportando l’occhiello al di sotto del titolo:

In un mondo unificato dal mercato globale, la malinconia ha ormai avvolto il concetto stesso di politica e l’ipotesi di un sommovimento radicale sembra improponibile. Eppure l’anniversario dell’Ottobre rosso ha riportato la questione al centro del dibattito intellettuale. Il progetto leninista di una liberazione degli sfruttati da realizzare accelerando lo sviluppo tecnico risulta però del tutto inadeguata, mentre riprende quota la visione di Walter Benjamin che invocava un “freno d’emergenza” per interrompere la corsa catastrofica al falso progresso. Si affrontano oggi almeno tre impostazioni differenti: Etienne Balibar chiede più democrazia. Slavoj Zizek vuole rivisitare il comunismo. David Graeber propone “spazi autonomi”, forme alternative in cui costruire una nuova convivenza. Insomma, la vecchia talpa di Karl Marx continua a scavare e può riservarci notevoli sorprese”.

Nello stesso tempo Rossana Rossanda, in una sua lettera rivolta proprio ai congressisti di S.I.,  considera irrisolto il dilemma del ‘900 (riprendendo il quesito di Althusser): se il marxismo, teoria e lotta, debba essere visto come una filosofia o una scienza. Da cui – sostiene Rossanda – consegue il problema di come debbano organizzarsi i soggetti del cambiamento, se attraverso un partito  o diversamente.

Tentare di rispondere con una sintesi a questa dimensione dei problemi (che dovrebbe rappresentare il reale “oggetto del contendere”) può apparire impresa impossibile.

Eppure sarebbe il caso di cimentarci ancora riflettendo su tre punti:

  1. Quello riguardante il Partito come punto di sintesi del massimo dell’espressione possibile della “classe” intesa come la platea (platea che andata allargandosi e diversificandosi rispetto ai “30 gloriosi” del welfare e dell’industrialismo) dei colpiti della controffensiva capitalista nelle sue molteplici sfaccettature;
  2. quello riguardante il concetto di egemonia e la possibile “compressione” in un’ipotesi di crescita progressiva della democrazia di massa nella visione di un intreccio tra rappresentanza e partecipazione;
  3. quello riguardante la determinazione di una forma politica all’interno della quale un “nuovo comunismo” possa prefigurarsi anche in forma sperimentale all’interno della stessa forma politica.

E’ necessario un dibattito di fondo posto proprio sul piano della filosofia politica rivolto a far sì che emerga una prospettiva di riaggregazione politica intorno all’idea del cambiamento delle cose esistenti.

Detta così: da far tremare i polsi.

Ma non si può stare al di sotto di questo livello.

FRANCO ASTENGO

redazionale

21 febbraio 2017

foto tratta da Pixabay

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