Un bimbo tra l’odio politico e il pregiudizio sessuale

Già l’espressione è terrificante. E così volevano che fosse coloro che l’hanno creata e diffusa attraverso i giornali e i grandi mezzi di comunicazione: “utero in affitto”. “Maternità surrogata”...

Già l’espressione è terrificante. E così volevano che fosse coloro che l’hanno creata e diffusa attraverso i giornali e i grandi mezzi di comunicazione: “utero in affitto”.
“Maternità surrogata” è una traduzione concettuale che non trova spazio nei dibattiti e nei commenti giornalistici o televisivi. Così sale l’indignazione, l’orrore: come si può approvare la pratica di affittare il corpo di una donna e, per soldi, farla partorire per, poi, toglierle il figlio che ha appena dato alla luce.
Messa così, farebbe inorridire chiunque abbia un po’ di buon senso e umanità nel cuore e nell’animo.
Ma è davvero così la storia di Tobia Antonio e di tanti altri bambini che sono nati grazie ad una triangolazione di affetti che si sono messi in gioco e hanno scommesso tutto contro pregiudizi e prevenzioni, contro leggi e anatemi, contro stigmatizzazioni di destra e di sinistra?
Anzitutto, non regge l’affermazione per cui una possibilità e un diritto siano buoni o cattivi a seconda di chi se li può permettere. Vanno create le condizioni affinché si superino quegli ostacoli che impediscono a tutti di accedere ad un diritto.
Invece, molti condannano la maternità surrogata per il semplice fatto che oggi è inaccessibile a tantissime coppie. Non è così che si può ragionare se si vuole estendere un diritto. A meno che non si usi come pretesto la questione di classe per evitare di mostrare la propria contrarietà etica.
Penso che si debba ragionare non per confini politici ma etici: penso che si debba astrarre dal contesto e pensare se una rivoluzione in tal senso può nascere proprio da una elaborazione concettuale del problema che lo risolva senza farsi influenzare da leggi, morali e contingenze varie.
Viviamo in un mondo capitalistico, quindi in un sistema dove tutto, per forza di cose, è merce: tutto ha un prezzo. Ragionando con questo metro, è evidente che fa ribrezzo il pensiero di pagare una donna per farle partorire un figlio che, alla fine, sarà il figlio di un’altra coppia.
Ma se si prova a distinguere tra la pratica in questione e il sistema in cui oggi si alimenta, se si prova a pensare ad una regolamentazione della medesima che prescinda proprio dalle logiche del mercato e della sterilizzazione dei rapporti sociali e singoli, allora ci si accorge che la vera rivoluzione in tal senso è proprio questa: imporre ad una società merceologizzata un nuovo rapporto affettivo che non sia oggetto di scambio commerciale.
Quanti amori “comperiamo” senza pensare di farlo? Non è forse anche la festa di San Valentino un fenomeno trasformato in pura giornata di vendita all’ingrosso di cioccolatini, rose, orecchini, braccialetti e biancheria intima sexy per il partner, per coinvolgerlo emotivamente, per ringraziarlo del suo amore e per avvicinarlo ancora di più a noi stessi?
Non è mercimonio di sentimenti anche questo, in fondo? Certo che lo è, ma è mascherato da festa e quindi va bene. Passata la festa, gabbato lo santo.
Qui, invece, si parla di una coppia (tralasciamo l’aspetto omo o eterosessuale) che desidera avere un figlio e non può averlo secondo le procedure naturalmente definite. Si rivolge ad una donna che liberamente decide di dedicarsi a questa pratica e di ospitare per nove mesi nel suo ventre un bimbo che sa che non sarà direttamente suo figlio nella vita di tutti i giorni, perché andrà a vivere con altre due persone.
Questa donna viene pagata? Non è così, visto che in Canada e negli Stati Uniti d’America la pratica della maternità surrogata deve essere per legge spontanea, volontaria e non finalizzata al lucro. Le spese sono tutte mediche.
Ma poniamo che una donna riceva anche un compenso per questa sua prestazione… In un sistema come quello attuale bisogna solo porre attenzione (di qui la necessità di una attentissima regolamentazione legislativa) che non si faccia un mestiere della “maternità surrogata” e che non cada nelle mani di trafficanti di donne, bambini e organi.
Per il resto, una coppia intelligente e sensibile, come mi sembra quella formata da Niki Vendola e da Eddy Testa, che ha ponderato a lungo questa scelta di filiazione, non tratterà certo come un mero strumento da parto la donna che sceglie di ospitare il piccolo.
Non ho motivo di dubitare delle parole di Vendola quando afferma che si è instaurato un rapporto da “famiglia allargata” tra lui, il suo compagno e la donna che ha partorito. Non potrebbe essere altrimenti. E ogni maternità affidata alla surroga dovrebbe avere questa predisposizione che, penso, evolva naturalmente e costringa anche il meno sensibile dei genitori putativi a scendere al compromesso dell’amore, della condivisione degli affetti.
La natura sa piegare i pregiudizi a più miti consigli e trasforma qualunque rigidità ideologica in una forma di condivisione delle emozioni.
Eppure, anche a sinistra, molti pensano con la mente legata agli schemi imposti dal capitalismo, dalla società delle merci. E non c’è scusante che tenga: per evolvere, per trasformarci in qualcosa di differente dagli esseri-disumani che siamo oggi, dobbiamo pensarci fuori da tutti questi recinti dell’ideologia dominante, dalle tante morali che sono state costruite in secoli di consolidamento del “mondo naturale” delle merci. Tutto si vende e tutto si compera.
Non è così e può non essere così.
Cominciamo con pensare che Tobia Antonio è questa rivoluzione: è uno dei tanti bimbi che nascono fuori da schemi ancora più ancestrali, schemi che affondano la loro medievalità nell’interazione tra interessi economici e fanatismi religiosi, presunzioni merceologiche e teologiche che vogliono inquinare la libera vita di ognuno di noi.
Lo sfruttamento della miseria si sconfigge decostruendo le ragioni presupponenti che i ricchi, i padroni, assurgono a modello etico dominante per tutti: la morale comune, del resto, è sempre quella della classe che ha il potere.
E non si può battere questo potere senza sconfiggerlo sul piano più solido su cui poggia: l’economia.
Ma si può incrinarne le ragioni di consenso che crea tra le masse, si può capovolgerne la sicumera, farla diventare debolezza proprio imponendo un pensiero alternativo, una capovolta nuova morale sociale, politica e civile.
Questa triarchia è indissolubilmente legata nella lotta per l’emancipazione dell’uomo dall’uomo e passa anche attraverso il disimpegno ideologico, l’accantonamento di tutto quanto abbiamo sino ad ora imparato senza un minimo di critica, di dubbio, di messa in discussione di granitiche certezze.
Assumere acriticamente il concetto indotto di “utero in affitto” è un esempio di incrostazione delle menti. Sovvertiamo quel concetto, rovesciamolo e forse ci sembrerà meno possibile quello che, fino a pochi istanti prima, reputavamo addirittura impensabile.

MARCO SFERINI

2 marzo 2016

foto tratta da Pixabay

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