Tra democrazia e “sindrome di Stoccolma” del popolo

Chi sono i “carnefici” della democrazia? E’ una domanda impegnativa, le cui risposte sono affidate ad una attenta osservazione dell’oggi utilizzando però anche una metodologia di confronto storico e...

Chi sono i “carnefici” della democrazia? E’ una domanda impegnativa, le cui risposte sono affidate ad una attenta osservazione dell’oggi utilizzando però anche una metodologia di confronto storico e sociologico che, bene o male, affonda le sue radici quanto meno al principio del secolo scorso.

Fin troppo facile è il paragone dell’oggi con le tante, persino troppe similitudini tra la crisi del primo dopoguerra in paesi come la Germania, dove una giovanissima repubblica democratica tentava di farsi strada dopo aver represso i comunisti da un lato e il nascente nazionalsocialismo dall’altro nell’annus horribilis 1923: quello del colpo di Stato in Baviera, quello dell’occupazione della Ruhr, quello del governo Stresemann che iniziava la stagione di tanti frammentati esperimenti di gestione di una Germania ancora legata all’idea federale di una unione di tanti altri Stati, primo fra tutti la potente Prussia che era stata di Federico il Grande, di Guglielmo II e di Bismarck.

L’Italia odierna non è la Repubblica di Weimar, però le somiglia molto in quanto a crisi economica, frammentazione politica e progressivo dimagrimento istituzionale e popolare di una opposizione politica socialdemocratica che, di sua volontà, si è trasformata in un cagnolino da guardia delle esigenze del capitalismo, dei grandi possidenti e dei privilegi del sistema delle merci e dello sfruttamento. Apparendo come “riformatrice”, questo finto centrosinistra pretenderebbe addirittura, grazie alla vulgata dei media, di essere l’unica sinistra possibile oggi: moderna, capace di dialogare col centro e di rimettere in piedi una pace sociale che sarebbe di stampo progressista per il solo fatto di garantire i diritti civili e le libertà costituzionali tranne quelle che riguardano il lavoro.

Siamo sicuri, poi, alla fine dei conti che sia davvero improprio il paragone tra la Repubblica tedesca fondata a Weimar e una Italia sovranista che, proprio come la Germania degli anni ’20, subisce una serie di rovesci economici e sociali che non fanno altro se non peggiorare costantemente il rapporto tra democrazia e popolo?

Se, da un lato, è abbastanza facile individuare i carnefici della democrazia, molto più difficile è individuare le ragioni che creano una sorta di “sindrome di Stoccolma” in un popolo che, nonostante (e proprio per…) i rovesci di fortuna prodotti da una economia devastante per le classi sfruttate e più povere, nonostante (e proprio grazie a…) l’individuazione di un nemico su cui deviare l’attenzione delle masse – quindi la prospettiva di una invasione di migranti che porterebbero altro disagio economico, impoverimento, mancanza di lavoro, criminalità e persino malattie… – ha bisogno di una soluzione semplice e non della complicata democrazia.

La democrazia, infatti, consente una espressione dialettica tanto nella società comune quanto in quella della rappresentanza istituzionale. Molto più sbrigativa è la delega assoluta, totale, incondizionata ad un “princeps”, ad un “duce”, ad un uomo solo che si eleva sopra gli altri con la mediocre abilità oratoria di chi deve esprimersi non con concetti che meritino da parte della popolazione un certo ragionamento in merito, ma al massimo una ripetizione di invocazioni, applausi e una concitazione crescente come se, per l’appunto, ci si trovasse sempre in campagna elettorale.

La forza della democrazia è, dunque, anche la sua debolezza: ci garantisce il rispetto delle diversità sotto ogni forma e (tendenzialmente) in ogni concretezza, ma allo stesso tempo crea una sorta di “illusione ottica”, una sensazione per l’appunto sbagliata (in quanto sensazione e non giustificata paura) di fragilità, di incapacità di gestione dei problemi sociali più dirimenti.

La “sindrome di Stoccolma” di un popolo che si affida al carnefice della democrazia e che ne adora i metodi autoritari e repressivi può avere origine da questa percezione errata del regime pluralista, costituzionale; non necessariamente “sovietista”, anzi più proditoriamente liberal-liberista, sebbene ancora oggi liberalismo e liberismo siano due aspetti molto diversi della strutturazione capitalistica dalla metà dell”800 fino ai nostri giorni.

L’Italia si trova molto vicina ad essere preda ancora una volta di una sindrome di tal fatta. La crisi economica si somma alla crisi istituzionale: un governo (volutamente) litigioso, una magistratura investita dagli scandali, un Parlamento praticamente privo di una vera opposizione che almeno garantirebbe un minimo di confronto fra le proposte, le idee e che potrebbe provare a mettere in difficoltà la maggioranza di governo.

Per difendersi dalla “sindrome di Stoccolma” di Stato e di popolo, servono degli anticorpi che ancora esistono e che, auguriamocelo ma battiamoci ogni giorno per mantenere fermo questo augurio, sono l’unico argine alla deriva del sovranismo in un neo-autoritarismo accettato da masse stanche di corruzione, degrado politico delle istituzioni e soprattutto crescente immiserimento del ceto medio che va a sommarsi ai milioni di italiani già classificati come “poveri” strutturali.

Non basta però agitare la Costituzione in aria per rivendicare la difesa della democrazia formale, “borghese”, certamente sempre molto poco sociale anche in assenza dei sovranisti: vanno messi in pratica i fondamenti della Carta e quindi va ancora rivendicato il diritto alla libertà di costruzione dell’alternativa mediante la riconfigurazione dei corpi intermedi, dal sindacato alle associazioni culturali e antifasciste fino ai partiti della sinistra di alternativa.

Senza una “praticità” della Costituzione, una sua traduzione in qualcosa di tangibile e quindi visibile e riconoscibile, senza una sinistra che si proponga di essere tutto questo con una ricomposizione sociale su cui creare quella organizzativo-politica, la “sindrome di Stoccolma” del nuovo millennio rischia di prendere il sopravvento.

I carnefici della democrazia ne hanno già rubata fin troppa di anima alla popolazione… Sarebbe bene non stare a guardare e tornare all’impegno, allo studio, all’azione.

MARCO SFERINI

21 giugno 2019

foto tratta da Pixabay

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