Studenti in rivolta: «Non siamo numeri, nessuno va sfruttato»

Centomila studenti in quindici città hanno manifestato ieri contro l’alternanza scuola lavoro e le nuove regole della maturità volute dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi che ieri si è sottratto...

Centomila studenti in quindici città hanno manifestato ieri contro l’alternanza scuola lavoro e le nuove regole della maturità volute dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi che ieri si è sottratto al confronto. Il tragico evento che ha fatto tracimare questo movimento oltre i limiti stabiliti dalla democrazia immunizzata in cui viviamo è stata la morte all’ultimo giorno di stage di Lorenzo Parelli travolto da una putrella di 150 chili in una fabbrica metalmeccanica in provincia di Udine.

Poi sono venute le bastonate della polizia contro chi è stato profondamente colpito da questo evento luttuoso e ha chiesto a Roma, Torino, Milano e Napoli l’abolizione dell’obbligo dell’alternanza scuola lavoro e il ripensamento della scuola del capitale disumano perfezionata dall’ultima riforma dell’istruzione targata Pd. Era il partito modello Renzi, nell’ormai lontano 2015, e nemmeno questo è stato ridiscusso dal nuovo corso di Letta insieme allo sciagurato Jobs Act.

La pentola a pressione di una generazione di studenti già tartassati da un malinteso è paradossale «distanziamento sociale» (semmai fisico), provatissimi dal caos della gestione quotidiana della didattica a singhiozzo, metà in presenza metà da remoto, è esplosa quando il ministro dell’istruzione Bianchi ha ritenuto di tornare alla maturità pre-pandemica ignorando la condizione reale, didattica psicologica ed emotiva, degli studenti dell’ultimo anno. Una decisione messa in dubbio, tra gli altri, anche dall’associazione nazionale dei presidi.

Dalle testimonianze raccolte ieri nelle numerose manifestazioni che hanno invaso il deserto psicosociale creato dalla letargia pandemica gli studenti hanno denunciato il muro di indifferenza eretto dal ministero, e dal governo tutto, rispetto ai loro bisogni. L’enorme striscione di apertura del corteo romano di ieri è tutto un programma: «Gli immaturi siete voi». Il rovesciamento logico non ha bisogno di commenti.

Nella vampata di combattiva lucidità si coglie una domanda ben più ampia della sola questione legata alla maturità. È una domanda che interpella la sicurezza fisica degli studenti («sotto quella trave che ha ucciso Lorenzo poteva trovarsi uno di noi», è stato detto), la tutela del benessere mentale e del desiderio che vacillano dopo 23 mesi di chiusure e attacchi paternalistici contro gli adolescenti, l’esigenza di un’istruzione critica, pubblica e di qualità e dunque una scuola completamente diversa da quella usata a fini politici dagli ultimi governi che non hanno nemmeno impostato un processo di transizione verso un’istituzione più giusta, a cominciare da chi ci lavora, i docenti e il personale amministrativo. Con il ministero i rapporti sono tesi. Il 10 dicembre c’è stato uno sciopero generale. E, da poco, c’è stata un’altra rottura sul contratto della mobilità.

L’aria del tempo è stata colta dagli studenti napoletani. «L’esame di Stato e la morte di Lorenzo – hanno detto ieri dopo avere manifestato in città e incontrato i disoccupati del movimento 7 novembre, in presidio permanente all’esterno di palazzo San Giacomo – sono gli ennesimi esempi di come l’unico interesse delle istituzioni, che da sempre rifiutano categoricamente qualsiasi tipo di confronto con noi giovani, sia quello di trattarci come dei semplici numeri, dei futuri lavoratori e future lavoratrici da sfruttare e da classificare in base alle nostre prestazioni scolastiche». Come e più di altri questi studenti hanno evidenziato una consapevolezza che tuttavia stenta a essere elaborata altrove: «Il governo ci illude di star tornando alla normalità, quando questa normalità è solo apparente. Si limita a prendere decisioni dall’alto».

Questioni esistenziali, politiche e solidali che hanno portato all’esplosione dei cortei a Roma, Torino e Milano, bari e Napoli, Palermo e Agrigento, Padova e Verona e molti altri che sono riusciti a esprimere il diritto costituzionale a manifestare, e criticare il governo Draghi, senza essere manganellati. Lo scandalo prodotto dalle violenze della polizia il 23 e il 28 gennaio, e le parole del presidente della repubblica Sergio Mattarella davanti alle camere riunite, hanno fatto cambiare atteggiamento in una gestione delle piazze tra le più approssimative, come dimostrato dal gravissimo episodio dell’assalto neofascista alla sede nazionale della Cgil a Roma.

Il muro del governo è rimasto. Ieri al ministero in viale Trastevere a Roma dove sono accorsi almeno 5 mila studenti si è cercato un incontro che ha creato una polemica tra le componenti del movimento: «È stato insoddisfacente, nessuna apertura. Apprendiamo con sconforto e rabbia che il ministero non è disponibile ad ascoltarci – sostiene la Rete degli studenti Medi – Vogliamo incontro con Bianchi». «Se fosse confermata questa proposta – sostiene l’Uds – farebbe capire che il ministro Bianchi non ha idea di ciò che è accaduto nelle scuole durante la pandemia. Il nostro percorso non può essere oggi valutato con questa modalità di esame. Noi sosteniamo un approccio che favorisce la crescita di un approccio critico e valorizza la multidisciplinarietà».Gli studenti contestano l’eliminazione della tesina interdisciplinare dalla prova finale.

Un sondaggio del sito Skuola.net ieri ha confermato ciò che il governo, e il Pd che guida sia il ministero del lavoro che quello della istruzione non intendono ascoltare: l’alternanza scuola lavoro incontra molti dubbi e anche opposizione tra gli studenti. Su 2500 interpellati il 66% si dice d’accordo con le proteste studentesche contro il Pcto (così si chiama ora l’alternanza scuola-lavoro). Negli anni della pandemia il 63% ha svolto comunque gli stage. Di loro, il 49% li ha fatti in presenza, il 29% ha alternato presenza e distanza, il 22% online. Solo per il 44% si e’ trattato di attività che hanno coinvolto realtà lavorative Appena 1 su 10 ha trovato l’esperienza di Pcto «molto utile» dal punto di vista formativo, il 27% l’ha ritenuta «abbastanza utile», il 42% la giudica «poco utile»; più di 1 su 5 la boccia. il 22% non ha ricevuto un’adeguata formazione sulla sicurezza prima di iniziare attività in luoghi di lavoro.

Tra coloro che hanno svolto un percorso in presenza con attività manuali, ben 1 su 5 racconta di essersi sentito in pericolo almeno qualche volta (15%), se non spesso (5%). «Se non si lavora sulla qualità delle attività, queste ore di formazione rischiano di trasformarsi in una perdita di tempo, quando va bene, o in una tragedia, quando va male». Molto di rado gli studenti mantengono un contatto con l’azienda. Questa idea è più che altro una suggestione di chi ha imposto l’alternanza a 1,5 milioni di ragazzi del triennio.

In fondo l’alternanza scuola-lavoro non serve a preparare al «mondo del lavoro», ma ad addestrare gli studenti al lavoro di chi cerca un lavoro precario (un habitus, lo definirebbe Pierre Bourdieu). Questa idea di scuola è solo un anello di un progetto antropologico, e non solo economico, più ampio. Gli studenti milanesi, per esempio, ieri hanno contestato prima l’agenzia Afol Metropolitana e poi occupato il provveditorato per qualche minuto: «Vogliamo formazione – dicono – non competere a chi ha il voto più alto o essere sfruttati lavorando gratis per aumentare il profitto di aziende private».

L’8 febbraio è previsto un primo incontro tra Bianchi e le rinnovate consulte studentesche. Venerdì 11 le manifestazioni sono state riconvocate.

Per il ministro del lavoro Andrea Orlando (Pd) « La vicenda dello studente morto in azienda aveva delle peculiarità che non consentono di trarre un giudizio generale sul tema dell’alternanza scuola-lavoro.Noi dobbiamo assicurare sicurezza in generale e in particolare nei luoghi in cui si realizza la formazione dei giovani». Con queste parole Orlando, ieri da Palermo, si è riferito alla tragica morte di Lorenzo Parelli e ha risposto ai cortei studenteschi che non hanno «generalizzato», bensì criticato un modello di scuola basata sulla formazione al lavoro di chi cerca un lavoro precario. Un «sistema di sfruttamento che toglie ore alla formazione» sostengono gli studenti. Nei casi in cui il tirocinio e l’apprendistato è necessario, questa è l’altra critica sollevata dagli studenti, non assicura né le tutele, né il reddito dignitoso a chi si forma in una professione.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

foto: screenshot

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Scuola di lotta

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