Spezzo una lancia a favore di Fassina

Stavolta sarei, nei confronti di Fassina, meno drastico di quanto lo siano stati altri compagni e commentatori. Non dico che abbia fatto bene a parlare in quel modo di...

Stavolta sarei, nei confronti di Fassina, meno drastico di quanto lo siano stati altri compagni e commentatori. Non dico che abbia fatto bene a parlare in quel modo di “evasione di necessità” (anche se si trovava di fronte ad una platea “difficile”), dico solo che la sua affermazione pone un problema reale.

La ricerca di una interlocuzione con i ceti medi e l’obiettivo di una alleanza con essi o quantomeno di una loro “neutralizzazione”, è stata molto discussa, diffusa e praticata nei partiti comunisti di derivazione terzinternazionalista ed ha costituito uno degli assi della politica del PCI, il cui blocco sociale ed elettorale era costituito da operai, braccianti agricoli o mezzadri a seconda delle regioni, piccoli commercianti e artigiani (oltre al mondo intellettuale). Non credo che Fassina sia incline alla politica e alla cultura del Pci, però il suo intervento offre lo spunto per una discussione nella sinistra che si propone ancora una trasformazione sociale..

Per sfuggire alle miserie della politica di oggi sto rileggendo per ricerca personale, in questo periodo, la Storia dell’Unione Sovietica di Giuseppe Boffa, giornalista e intellettuale comunista. I bolscevichi, a partire da Lenin, hanno dedicato appassionate e interminabili discussioni (e hanno avuto anche pesanti conflitti interni) sul tema del rapporto con le masse contadine, che costituivano la grande maggioranza del mondo del lavoro. Essi avevano ben chiara la straordinaria “casualità” della rivoluzione “operaia” sovietica e piena consapevolezza che essa, senza i contadini, sarebbe stata inevitabilmente. sconfitta. Lenin, anche per giustificare la nep (nuova politica economica) arrivò, con una certa forzatura dottrinaria, addirittura a teorizzare una divisione all’interno di questa figura sociale: i kulaki ricchi, da considerare avversari di classe e i contadini medi e poveri, con i quali stringere un’alleanza. Stalin, più tardi, risolse, per così dire, il problema a modo suo e forse (opinione personale) non poteva fare altrimenti; ma anche nell’epoca della industrializzazione forzata, il rapporto col mondo rurale fu oggetto di lunghe e aspre discussioni.

Nell’Italia di oggi il problema dei ceti medi si pone in maniera prepotente. Interloquire con una parte di loro e affermare la verità sul sistema fiscale, sono la stessa cosa. Il punto è sconfiggere l’idea che l’evasione fiscale sia un problema generale, comune indifferentemente a tutti i soggetti sociali. Non è vero! L’evasione è un problema di classe o, per essere in questo caso più precisi, di classe e di ceti sociali. Per dirla ancora più esplicitamente e semplicemente, è un problema dei ricchi! Quella che incide sui conti pubblici e va messa sul banco degli accusati è la “grande” evasione; le grandi ricchezze patrimoniali mobiliari e immobiliari, le enormi speculazioni e rendite finanziarie e gli ingenti profitti che, per via illegale, ma più spesso per via legale attraverso una legislazione compiacente e incentivante, sfuggono al fisco e al loro dovere verso la società.

Affermare che in Italia c’è un sistema fiscale e tariffario (elettricità, gas, acqua ecc.) oppressivo e ottuso e non corrispondente alla qualità dei servizi che vengono offerti, non è una concessione al berlusconismo, ma una parte del mosaico della verità.

Questo vuol dire tollerare l’evasione fiscale e coprire gli evasori? No, vuol dire proporre un sistema fiscale e tariffario più efficacie, addirittura implacabile con i furbi e i disonesti, ma nel contempo più flessibile in rapporto alla realtà delle condizioni e, soprattutto, tendente a spostare verso le fasce alte il maggior carico per ridurlo su quelle basse, tanto del lavoro dipendente che di quello autonomo.

L’operaismo o il corporativismo non sono buoni strumenti della lotta di classe.

LEONARDO CAPONI

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