Razzismo savonese, il “caso Lègino”. E un antidoto

Oggi vi parlo della mia città, di Savona e, nello specifico, di Lègino, uno dei quartieri di ponente della medesima. A breve dovrebbe ospitare, in un campetto di calcio...

Oggi vi parlo della mia città, di Savona e, nello specifico, di Lègino, uno dei quartieri di ponente della medesima. A breve dovrebbe ospitare, in un campetto di calcio di proprietà della Curia, un piccolo campo per migranti di passaggio.
L’appena insediata amministrazione di centrodestra ha fatto le barricate sostenendo, anche a ragione, che non è una sua decisione, che è è invece stata presa dalla Prefettura in accordo con la Diocesi di Savona – Noli e la parrocchia di Lègino.
Una risposta, se vogliamo, anche diplomatica. Quindi, il fronte istituzionale, formale e ufficiale è salvo.
Poi viene convocata nel quartiere savonese una assemblea di cittadini per discutere del problema, di questa “ondata” di profughi, di migranti che si riverserebbe su un quartiere di periferia, a detta di alcuni abitanti “poco sicuro” (non si hanno notizie di crimini di piccolo, medio e grande termine in quel di Lègino da, credo, un secolo a questa parte…) e che danneggerebbe, a detta dei commercianti, i loro floridissimi affari.
L’assemblea notturna si trasforma in un raduno di trecento non giovani e forti, ma urlanti inveitori contro le istituzioni, contro l’Arci, contro la parrocchia e la Prefettura, contro chiunque voglia aprire un dialogo in merito, poterne discutere.
Non si discute con questi trecento che urlano frasi come: “Bruciamo tutto”, “Gli diamo fuoco”. Roba da Terzo Reich, che viene fuori da una rabbia di padri di famiglia che hanno paura di far crescere i loro figli in un quartiere dove la delinquenza potrebbe aumentare, “avendo già i nostri [delinquenti], quelli di casa nostra”.
Qui mi interessa fare alcune osservazioni di carattere sociale e politico.
I cittadini e i commercianti scesi in piazza ieri sera sono pronti ad azioni concrete, a bloccare l’ingresso al centro? Ad incatenarsi ai cancelli? A bloccare l’accesso ai camion che porteranno lì i migranti? Non è dato sapere.
Per chi non conosce Lègino, va detto che è un quartiere molto tranquillo, di giorno e di notte. Una storica Società di Mutuo Soccorso è uno dei punti principali di riferimento sociale dove si ritrovano a svolgere molte attività ludiche e di cultura moltissime persone anche non del quartiere; la parrocchia è proprio lì accanto; poco più in là c’è lo stadio comunale “Bacigalupo” e a pochi passi ancora il Campus universitario di Savona.
Sembrerebbe un bel quartiere e lo è, in effetti.
Durante lo svolgimento della Festa provinciale di Liberazione (la festa di Rifondazione Comunista) dello scorso anno, svoltasi proprio a Lègino, mi è capitato di fare alcune notti di guardia, da solo peraltro. L’unica minaccia che ho riscontrato in quelle notti sono stati i tuoni e le scariche elettriche di un temporale violento che s’era riversato alle quattro del mattino su tutta la zona. Vento, scrosci d’acqua e niente più.
Al mattino alle 7.00 iniziavano a circolare i cittadini amici degli animali, qualche sportivo che correva e altri in bicicletta. Pur essendo piena estate, nessuno schiamazzo, nessuna compagnia di ubriachi, nessuna “minaccia” alla sicurezza personale singola o collettiva che fosse.
Penso, dunque, che l’improvvisa agitazione di una parte degli abitanti del quartiere sia dovuta ad una enfasi ormai inflazionata sul problema delle migrazioni: i migranti vengono etichettati a priori come pericolosi per la nostra società. E se anche qualcuno di loro commette dei reati, è quel qualcuno che va perseguito senza generalizzazioni.
Se un italiano stupra una donna forse diventano automaticamente potenziali stupratori tutti gli italiani?
Se un non italiano (la parola “straniero” la lascio ai razzisti di casa nostra) commette una atrocità del genere, in modo meccanico e automatico tutti i non italiani sono l’immagine di un solo gravissimo fenomeno accaduto.
Ma se un italiano uccide con violenza estrema un non italiano, allora è soltanto un episodio circoscritto e non porta con sé il significato sociale di una brutalità mentale che si è radicata in una rabbia sociale che deriva da un malessere economico.
Nessuno riesce a comprendere che la rabbia che prova deriva non da un pericolo che non esiste, da una minaccia che non c’è, ma da una condizione di indigenza che prova e che vive come estrema e incontrovertibile. La povertà è disperazione e la disperazione qualcuno deve gestirla e incanalarla verso motivazioni che non siano quelle reali da mostra, ma siano specchietti per le allodole, falsi problemi, miti creati per alimentare odio contro chi è debole e indigente come noi.
Il nostro nemico non è il ricco speculatore che brucia milioni di euro nelle transazioni borsistiche, non è Marchionne che fa politiche antisindacali e antioperaie per cui un tempo ci sarebbero stati scioperi generali e prolungati.
Il nemico è il povero come noi, è il disperato come noi, è il precario come noi.
Sì, è la vecchia storia di quella “guerra tra i poveri” che serve alla classe sociale dominante, ai ricchi (se non li volete chiamare “borghesi” perché il termine vi sembra troppo anacronistico…) ad essere tremendamente attuale e lo dimostrano proprio i fatti di Lègino.
Siamo tutte e tutti in potenza delle persone buone o cattive. Bontà e cattiveria sono conseguenze caratteriali ed espressioni conseguentemente materiali che derivano anzitutto dallo stato sociale in cui si vive, dalle condizioni in cui si cresce, dalla disperazione che si vive.
Anche il più buono degli esseri umani diventa ladro se ha fame. Ma quello non è un ladro, è solo un uomo che ha fame. Rubare non è prendere quando si ha bisogno. Prendere quando non si ha bisogno è rubare. Per questo i padroni rubano il salario da secoli ai lavoratori. Ma voi continuate a chiamarli “datori di lavoro”…
Cara Lègino, torna ad essere quel quartiere solidale, intraprendente, civile e aperto che sei sempre stato. Le urla “Bruciamo tutto”, “Diamogli fuoco” e altre scompostezze del genere sentite ieri sera in piazza non ti fanno onore, ti gettano alle cronache di mezza Italia come un luogo di paura, di odio, di esclusione.
Vorrei che ti vedesse una compagna che da poco tempo non c’è più… Vorrei che avesse sentito i discorsi e le urla di ieri sera. Io sono sicuro che sarebbe non solo amareggiata ma di più, sarebbe furiosa contro tutti quelli che conosceva e che magari ieri sera erano lì ad avere paura, ad avere odio, ad avere solo l’ombra del pregiudizio dentro al cuore

MARCO SFERINI

19 luglio 2016

foto tratta da Pixabay

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