Potere e opposizioni nelle società post-democratiche

“Potere e opposizione nelle società post – rivoluzionarie” questo il titolo di un convegno organizzato a Venezia tra l’11 e il 13 novembre 1977 dal PdUP –Manifesto e al...

“Potere e opposizione nelle società post – rivoluzionarie” questo il titolo di un convegno organizzato a Venezia tra l’11 e il 13 novembre 1977 dal PdUP –Manifesto e al quale parteciparono un folto gruppo di dissidenti provenienti dai Paesi dell’Est tra i quali l’ungherese Istvan Mestzaros, i rappresentanti della Cecoslovacchia Zdnek Mlinar, Jiri Pelikan, il sovietico Leonid Pliusc, i polacchi Kristzof Pomian, Edmund Baluka, lo jugoslavo Dave Riesman. Inviarono interventi scritti dalla Jugoslavia Vlado Dedijer, Predag Vrnanicki e Dave Riesman, dalla Polonia Adam Michnik e Jacek Kuron. Da ricordare ancora che il PCI non ritenne di aderire ufficialmente al convegno (aperto da Lidia Menapace con la relazione generale svolta da Rossana Rossanda che alla fine pronunciò anche l’intervento conclusivo). Gli atti del convegno sono raccolti in un volume dallo stesso titolo del convegno e edito da Alfani.

Un titolo che mi è tornato alla mente in questi giorni assistendo al feroce assalto al potere da parte delle attuali forze di governo che stanno muovendosi sul terreno scivoloso del populismo, del sovranismo e del razzismo quasi fossero i rappresentanti di una “coalizione dominante” che intende imporre la propria egemonia in termini davvero di populismo ideologico ad una società sfibrata che la lunga gestione del duopolio centrodestra/centrosinistra ha reso succube di un individualismo estraniante e competitivo ai livelli più bassi.

Siamo di fronte ad un tentativo di suffragare un vero e proprio “rovesciamento culturale” (è il termine che è stato usato dagli esponenti del governo per commentare le nomine RAI): rovesciamento culturale già in atto da tempo, almeno da quando (anni’90 del XX secolo) si è deciso che si sarebbe applicato, al lungo periodo di ricostruzione del Paese dalle macerie della guerra e alla fase della “Repubblica dei Partiti”, una sorta di “damnatio memoriae”.

Una fase, dagli anni’90 del XX secolo in avanti, nel corso della quale si era ripetutamente tentato di stravolgere il dettato Costituzionale: tentativo respinto due volte dal voto popolare (ciò nonostante la Costituzione è stata fortemente modificata in almeno due occasioni, quella riguardante il titolo V al riguardo delle autonomie locali e quella relativa all’articolo 81 afferente l’obbligatorietà del pareggio di bilancio imposto dall’UE).

Nella seconda occasione di espressione di voto in materia costituzionale, quella più pregnante del 4 dicembre 2016, il PD aveva tentato la strada di modificare nel profondo la natura parlamentare della Repubblica spostando elementi fondamentali nell’identità della Repubblica verso una sorta di sovranità dell’esecutivo: un antico disegno contenuto nel documento della P2 del 1975 e poi perseguito dal centro destra nel 2006 e contenuto negli atti della commissione bicamerale del 1997, laddove – è bene ricordarlo – si scrisse di semi-presidenzialismo.

19 milioni di “NO” affossarono quel tentativo mettendo in pratica fuori gioco lo stesso PD in attesa del voto politico che confermò esattamente quell’indicazione.

Apparve subito evidente che quel cumulo di voti presentasse origini molto complesse: dentro, infatti, ci stava anche tutto quel carico di cosiddetta “antipolitica” che poi ha dato origine all’esito elettorale del 4 marzo 2018 da cui deriva la formazione dell’attuale pericolosissimo governo.

Pur tuttavia doveva essere riconosciuto che non era tutto qualunquismo ma che un numero elevato di elettrici ed elettori (qualche milione) aveva espresso il proprio dissenso rispetto alla proposta del PD in nome di una visione di “avanzamento democratico” nell’applicazione della Costituzione Repubblicana.

Una visione di vera e propria militanza democratica in linea con la storia e l’identità che erano state fornite a questo passaggio dalla sinistra più coerente nel corso dei decenni precedenti, quelli contrassegnati dalla presenza dei grandi partiti di massa.

Nel voto del 4 dicembre 2016 si ritrovavano espressioni importanti di rifiuto della crisi della democrazia rappresentativa e del tentativo d’imposizione della camicia di forza della “governabilità” e dello squilibrio nella gestione del potere così come il PD (e in precedenza il centro destra) intendeva imporre.

Espressioni in linea con il dettato costituzionale al riguardo dell’equilibrio tra l’esercizio del potere e il complesso di bisogni sociali come presentato nel delicato equilibrio mantenuto dai Costituenti tra la prima e la seconda parte della Carte fondamentale.

Non ho ricordato a caso quel passaggio riguardante il voto del 4 dicembre 2016. Un passaggio a mio giudizio assolutamente determinante nella più recente storia d’Italia.

Importante soprattutto perché, respinto l’attacco alla democrazia, le forze politiche della sinistra cui sarebbe toccato farlo non fornirono a quella parte di elettorato una qualche proposta di adeguata rappresentanza politica.

Oggi che la crisi della democrazia sta raggiungendo punte – se possibile – ancora più acute rispetto a due anni or sono, il problema si ripresenta per intero.

Quale rappresentanza politica per l’opposizione che necessariamente dovrà porsi sul terreno della difesa della democrazia costituzionale in nome degli elementi più radicali di eguaglianza, di solidarietà, e di democrazia parlamentare che il testo del 1948 contiene?

Da considerare ancora due elementi: non è possibile riesumare la prospettiva del centro sinistra che non esiste proprio più nello scenario della vicenda politica italiana; il tema delle alleanze, in un quadro politico caratterizzato da un’estrema mobilità, potrà essere sollevato quando autonomia e identità del soggetto della sinistra potranno considerarsi se non acquisite almeno consolidate.

Sotto questo aspetto si pone, sul piano dei contenuti, una grande questione: quella dell’inveramento programmatico (e nell’azione politica) tra l’avanzamento nell’applicazione del dettato costituzionale e la necessità dell’immediatezza nella risposta ai bisogni emergenti da parte dei soggetti maggiormente esposti alla ferocia di questo ciclo capitalistico in atto e alla reviviscenza di una vera e propria barbarie culturale e sociale cui stiamo dolorosamente assistendo.

La stessa vicenda europea, apparentemente così divisiva a questo livello, non può che essere considerata proprio all’interno del quadro che si è cercato di descrivere di intensificazione dello sfruttamento e della sopraffazione in dimensioni ben più allargate di quella che abbiamo storicamente considerato come “contraddizione Principale”.

Non mi pare ci sia, a sinistra, una grande volontà d’incontro su questo terreno.

Ciò nonostante mi piace proporre, modificandolo opportunamente, il vecchio titolo del ’77: “Potere e Opposizione nelle società post – democratiche”. Titolo da intendersi quale insegna di un’iniziativa politica a mio giudizio urgente e necessaria.

Forse qualcuno potrebbe rifletterci su.

FRANCO ASTENGO

28 luglio 2018

foto tratta da Pixabay

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