La scomparsa di Piero Angela ci priva di un maestro e di un esempio. Che brutto periodo. Se n’è andata una persona davvero notevole e straordinaria. Si utilizzano spesso, di fronte all’arcano della morte, retoriche caramellose e tese all’elogio postumo: qualche volta dovuto e magari tardivo, altrimenti alquanto farisaico. Ma il caso di Piero Angela richiede, invece, il ricorso ai superlativi. È stato, infatti, sia un eccellente giornalista (dalla radio alla televisione, fin dalle origini), sia un caposcuola in quel particolare aspetto dei palinsesti che chiamiamo per comodità «divulgazione».

Quest’ultima, tuttavia, più che una componente del flusso è la reificazione dell’etimologia stessa di televisione: vedere lontano.

Infatti, i programmi curati da Angela (e proseguiti dal figlio Alberto, un caso affascinante di sodalizio intellettuale fortissimo, il contrario del nepotismo) sono l’essenza profonda e identitaria di un servizio pubblico. Non a caso accostato al grande omologo della Bbc britannica David Attenborough, il giornalista di origine e stile piemontesi ci ha regalato un modello, oltre che un insieme mirabile di programmi: Quark e Ulisse sono i nomi forse maggiormente noti di un elenco ricco e formato da momenti seriali e da appuntamenti unici capaci di ibridare il racconto scientifico con lo spettacolo.

Insomma, se oggi nel cinema e nell’audiovisivo (oltre che nei festival) il linguaggio del film documentario è assurto ai primi piani della critica e del consumo, molto lo si deve alle trasmissioni citate e a quelle da loro filiate. Ora che si parla del rinnovo del Contratto di servizio della Rai, da siglare entro la fine dell’anno, si tenga conto che il genere docu è il tratto distintivo di una estetica che non voglia arrendersi alla pigra e opportunistica sequenza dei talk o dei talent o dei grandi fratelli.

Anzi. Proprio l’immenso talento del compianto Angela ci ha ammonito sulla necessità di rovesciare l’ordine degli addendi: l’ascolto è minore o maggiore a seconda della qualità della proposta. Un felice prodotto culturale, costruito sulla linea mediana che congiunge alto e basso, erudizione e pop, conquista magari più audience di un ennesimo gioco a quiz. Tant’è che la sfida con la concorrenza fu collocata nella serata regina della televisione generalista, il sabato, la cui vecchia liturgia andava rovesciata secondo un approccio coraggioso introdotto anni fa dal secondo canale della Rai diretto da Massimo Fichera e dalla terza rete di Angelo Guglielmi.

Piero Angela preferì un profilo professionale autentico e indipendente, mai accettando ruoli che pure avrebbe potuto ricoprire egregiamente. C’è un lascito particolare, poi: quasi un testamento o un manuale del e per il rapporto corretto con la scienza. Quest’ultima va rispettata anche controcorrente (va ricordato il momento polemico sulle virtù troppo semplicisticamente presentate dell’omeopatia, per dire), evitando i richiami della foresta sia dell’ipertecnicismo sia della facile demagogia antagonista.

Ma la scienza non è neutra e ci interpella su criticità ed aporie che si possono manifestare. Il dialogo con le numerosissime personalità della ricerca o dell’accademia invitate nelle puntate non cedeva all’adulazione supina. Se mai, al contrario, Angela interpretava perfettamente la funzione del miglior giornalismo, l’essere un’intermediazione dinamica tra chi parla, e chi legge o ascolta o guarda. Una lezione senza tempo, utilissima per rendere credibile ed autorevole, senza relegarlo ad una nicchia di esperti, un genere.

La televisione ogni tanto diventa intelligente, rompendo l’assedio della prevedibilità corriva verso i sentimenti bassi del consumo, peggiorandoli consapevolmente per ricavarne un risultato (magari presunto) in termini di facile popolarità.

Certamente, di Piero Angela si continuerà a parlare e a discutere con ammirazione e rispetto, mentre di molto altro si ritroverà traccia nel bidone della spazzatura trash.

Piero Angela è stato pure un appassionato musicista, con studi al conservatorio e una predilezione per il jazz, amato e interpretato, che avrebbe persino potuto deviarne in gioventù vita e percorsi. Forse, avremmo avuto un ottimo partner di Franco Cerri, ma non un fantastico divulgatore di saperi difficili e separati riavvicinati con lui al pubblico.

Ci auguriamo che la Rai, la sua casa, voglia – al di là di una replica – riconoscere e tramandare le virtù di un personaggio particolare, che oggi si ritrova nel volto e nelle parole di un figlio – Alberto – schivo e composto nel saluto al genitore scomparso. Un padre capace di scrivere per il web (e per chiunque, ovviamente) una lettera di commiato in punto di trapasso. Consapevole che la memoria è, per i laici, l’eternità.

VINCENZO VITA

da il manifesto.it

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