Per La Cassazione Mimmo Lucano non è colpevole

Riace. Reso noto il parere della Suprema corte sul suo ricorso: «Non appaiono sufficienti indizi». L’accusa era di aver turbato procedure di gara per dare al Comune la raccolta rifiuti
Mimmo Lucano

A due giorni dalla decisiva udienza preliminare che dovrà stabilire se Mimmo Lucano deve essere rinviato a giudizio oppure prosciolto dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e illeciti nell’affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti, sono state pubblicate le motivazioni sul provvedimento con cui la Cassazione aveva (parzialmente) accolto il ricorso del sindaco sospeso di Riace avverso la misura del divieto di dimora nel borgo della Locride. Ebbene, non appaiono sufficienti, e in ogni caso, «non emergono con la necessaria chiarezza e coerenza argomentativa» indizi contro Lucano in relazione all’accusa di aver «turbato» le procedure di gara per l’assegnazione, nel suo Comune, del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani, che veniva effettuato con la «modalità dell’asinello porta a porta».

Lo scrive la sesta sezione penale della Suprema Corte, spiegando perché, alla fine dello scorso febbraio, decise di accogliere in parte il ricorso della difesa di Lucano e di disporre un nuovo Riesame, limitatamente al reato di «turbata libertà del procedimento di scelta del contraente», sulla misura cautelare del divieto di dimora a Riace alla quale Lucano è sottoposto dall’ottobre 2018.

I giudici di piazza Cavour, in particolare, ribadiscono nella sentenza depositata oggi – come già fatto la scorsa settimana con la sentenza su Lemlem Tesfahun, compagna di Lucano, per la quale è stata revocata la misura dell’obbligo di firma – la «correttezza» delle argomentazioni del Riesame di Reggio Calabria relative all’ipotesi di reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contestato al sindaco di Riace, per cui viene sottolineata «la gravità del panorama indiziario».

Quanto alla gestione dei rifiuti, al contrario, l’ordinanza del Riesame «non si sofferma sulla valutazione di un profilo rilevante ai fini dell’apprezzamento del requisito della gravità indiziaria – osserva la Cassazione – esaminando quali altre imprese in quel territorio, oltre le cooperative sociali affidatarie per anni del servizio, avrebbero potuto in quel momento svolgerlo, tenuto conto della conformazione del centro storico del Comune interessato e delle specifiche caratteristiche dell’attività che di quel servizio costituiva l’oggetto». In sintesi, secondo i giudici del `Palazzaccio´, «non emergono con la necessaria chiarezza di analisi gli atti o i comportamenti che l’indagato avrebbe materialmente posto in essere per realizzare in concreto una serie di condotte che, allo stato, paiono solo assertivamente ipotizzate e le cui note modali, peraltro, non vengono sotto alcun profilo tratteggiate, rimanendo addirittura contraddette dalla connotazione di collegialità propria di tutti gli atti di affidamento e dalla dedotta circostanza di fatto relativa alla pacifica presenza in ciascuna delle pertinenti delibere amministrative adottate nel corso della procedura seguita dai competenti organi municipali dei prescritti pareri di regolarità tecnica e contabile da parte dei rispettivi responsabili del servizio interessato».

Sul punto, dunque, il Riesame, conclude la Cassazione, dovrà «eliminare i rilevati vizi e colmare le lacune della motivazione».

Ora la palla passa al tribunale di Locri che il 5 aprile- dopodomani -, dinanzi al Gup, deciderà il futuro giudiziario del sindaco Mimmoi Lucano. Il Viminale, intanto, fedelmente all’accanimento ossessivo verso il sindaco, ha deciso di costituirsi parte civile.

SILVIO MESSINETTI

da il manifesto.it

foto tratta dalla pagina Facebook del Partito della Rifondazione Comunista

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Politica e società

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