L’appello alla destra per battere la destra

L’ispirazione a ricreare le condizioni per una nuova alleanza di centrosinistra è un leit motiv che torna puntuale ad ogni affacciarsi di una tornata elettorale di qualunque grado: dalle...

L’ispirazione a ricreare le condizioni per una nuova alleanza di centrosinistra è un leit motiv che torna puntuale ad ogni affacciarsi di una tornata elettorale di qualunque grado: dalle politiche alle amministrative. E proprio da tre sindaci importanti come Doria, Zedda e Pisapia (quindi Genova, Cagliari e Milano) questa volta parte l’appello “per vincere”, per evitare che accada come in Francia e che quindi si scongiuri il pericolo dell’avanzata delle destre anche in Italia.
Resta da stabilire chi rappresenti oggi la destra politica ed economica in Italia: Berlusconi, Salvini e Meloni, per quanto rozzi e beceri siano nelle loro proposte di sconvolgimento sociale, non rappresentano un pericolo per il Paese. Le percentuali di consenso che raccolgono, secondo l’abile arte dei sondaggisti più o meno azzeccanti le previsioni, non li porterebbero oltre il terzo posto in classifica, dietro a Movimento 5 Stelle e PD.
I giochi, dunque, si svolgerebbero tra il movimento di Grillo e Casaleggio e il partito della nazione di Renzi.
Il sentimento popolare, messo davanti ad una scelta di ballottaggio di questo tipo, non avrebbe tentennamenti nel far prevalere il voto per i Cinquestelle: rappresentano, almeno nell’immaginario collettivo, la ribellione al sistema, alla cosidetta “casta”, al malaffare a alla corruzione.
Che poi, nella critica al sistema politico ed economico, si fermino qui e non proseguano oltre in nome di un “post-ideologismo” molto lepenista che liquida le “vecchie categorie” di destra e di sinistra, è altro tema e altro problema su cui andrebbe scritto un trattato; per il momento ci interessa capire come sia possibile riproporre ancora un’idea di centrosinistra al Paese quando questa idea, questa formula è scomparsa de facto dal panorama politico nel momento in cui proprio l’interlocutore di Doria, Zedda e Pisapia, ha deciso di creare un governo con il Nuovo Centrodestra e mettere in campo l’idea di un partito che abbracciasse un multiculturalismo così eterogeneo da poter comprendere tanto una certa residuale sinistra di governo con un centro liberale e liberista altrettanto dedito al governo.
Il centrosinistra muore con la fine del secondo governo Prodi. Da allora, il tentativo di resuscitarlo fatto da Bersani è stato anche coraggioso, ma privo di riscontro parlamentare, nonostante si siano inventate tutti i più artificiosi espedienti per vincere anche col minimo consenso stabilito da leggi truffa: sbarramenti per tenere lontana dal Parlamento la sinistra comunista, radicale e quindi “ideologica”, pericolosa zavorra sia esterna che interna alle alleanze; patti di governo con Sel e socialisti per avere una maggioranza nonostante il Porcellum e, infine, aperture di consultazioni anche con chi non ne voleva sapere in nessun modo di sostegni desistenziali di vecchia rifondarola memoria.
Il centrosinistra di piccolo cabotaggio, decrepito e morente, ce l’ha messa tutta per sopravvivere a sé stesso: un po’ come il disperato tentativo di Richard Cromwell di continuare l’esperienza repubblicana di suo padre Oliver nell’Inghilterra di fine Seicento. O sei Oliver Cromwell, o sei Romano Prodi, oppure non puoi pensare tu Richard, tu Pierluigi, di ridare fiato e vita ad un’esperienza tramontata naturalmente, senza spinte da parte di nessuno.
Matteo Renzi ha approfittato della debolezza ormai cronica dell’alleanza “Italia Bene Comune” per lanciare un Partito democratico nuovo, completamente votato alla difesa dello status quo dei grandi poteri economici e finanziari e farlo diventare il partito nazionale, quello della borghesia nazionale, quello della difesa della “ricchezza” complessiva: di tutto e di tutti.
Un partito, quindi, che si sostiene con la più vuota delle demagogie del tempo, senza nemmeno la rabbia e le urla teatrali di un Beppe Grillo che ha messo le ali alla sua creatura trascendendo ogni vituperata ideologia.
E qui nascono altre contraddizioni: il PD è il miglior rappresentante del liberalismo borghese rinnovato di questi nuovi anni di crisi economica e di ristrutturazione capitalistica e, al contempo, mantiene formalmente l’aspetto di un partito legato ai valori della Costituzione: primo fra tutti, l’antifascismo.
Per il PD è sacro l’antifascismo, è sacra la democrazia, ma poi nel governare tradisce l’uno e l’altra: l’uno facendo alleanze con le destre moderate che negano fondamentali valori della persona e del cittadino; l’altro stipulando i peggiori accordi e le peggiori intese per cancellare dalla Costituzione quelle garanzie di formazione delle leggi che sono alla base della tutela di una repubblica parlamentare e non presidenziale. La controriforma del Senato è la testimonianza migliore che si possa avere in questo senso.
D’altro canto, il Movimento 5 Stelle è sul crinale continuo, “border line” si direbbe oggi: non si dichiara fascista e nemmeno antifascista; non ha interesse per una visione di classe della società e difende l’economia sostenendo la libera impresa e, in questo, nello specifico, la media e piccola impresa; difende i diritti civili ma appoggia anche i respingimenti dei migranti; è universale e particolare allo stesso tempo. E’ tutto e niente. E’ di destra, centro, sinistra. Quindi è come l’acqua: non ha forma. Al di là della critica, giusta, all’utilizzo privato della res publica, non c’è proposta netta, non c’è scelta di campo. C’è tutto e il contrario di tutto.
E’ possibile che la sinistra oggi possa trovare in questi due fenomeni anomali, nel PD e nel Movimento 5 Stelle, luoghi di dialogo e di avvicinamento politico e sociale? E’ possibile ancora vedere nel PD e in Renzi una qualche forma di espressione politica di tutela dei più deboli, di un proletariato moderno che si chiama precariato, disoccupazione, non lavoro?
E’ possibile che una tendenza all’uguaglianza sociale, quindi un avanzamento dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, arrivi da chi ha inventato e applicato il Job act o da chi urla che vuole abolire i sindacati?
No. Nessuna di queste due ipotesi è e può essere una ipotesi di rinascita o di creazione di un laboratorio di protezione dalle destre.
Partito democratico e Movimento 5 Stelle sono due opzioni di conservazione dell’esistente, quindi sono due forze antiprogressiste che vanno combattute e contrastate: entrambe fanno credere ai lavoratori, agli studenti, ai pensionati, agli sfruttati tutti, di essere le guide verso espansione dei consumi, ricchezza, benessere.
Sono, invece, due anomalie tutte italiane che dominano la scena politica e alle quali non è possibile dare nessuna forma di consenso.
Doria, Zedda e Pisapia hanno lanciato un appello che sembra una chiamata al “si salvi chi può”, aggrappandosi ad una idea di politica che somiglia molto ad una fuga dalla nave di tre amministrazioni che non hanno brillato e che ora si offrono come l’ultima ruota di un carro che va avanti con ruote di destra e di centro. Averne una di scorta, dipinta d’un rosso sbiadito a Renzi può fare sempre comodo. Potrà dire di essere di sinistra, come del resto sta facendo da anni. E il centrosinistra sognato dei tre sindaci sarà un ricordo beffardo e lontano.

MARCO SFERINI

9 dicembre 2015

foto tratta da Pixabay

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