La zuppa acida dell’eterno ritorno al centrosinistra

Porte chiuse. La riunione della Direzione nazionale si è svolta a porte chiuse ma si sa praticamente molto di ciò che è accaduto. Renzi prosegue imperterrito con la sua...

Porte chiuse. La riunione della Direzione nazionale si è svolta a porte chiuse ma si sa praticamente molto di ciò che è accaduto. Renzi prosegue imperterrito con la sua linea “autonomista”, per un PD che non stipuli alleanze con altri. Almeno nel campo della sinistra, riferendosi chiaramente ad Articolo 1.
Ma Orlando gli replica che “Pisapia non è Ferrero”. Meno male, aggiungo io. Perché almeno sappiamo che di alleanze con i comunisti Orlando non intende farne.
Quindi un cosiddetto “centrosinistra” in stile “l’Unione” sembra essere scongiurato: un progetto politico che invece accarezzano i soggetti che hanno appena pochi giorni fa dato vita ad “Insieme”. Un eterno ritorno ad una idea di riformismo che vuole ridare una speranza ad un interclassismo impossibile da reinventare su basi veramente di alternativa. Uno stare “Insieme”, dunque, indefinibile o probabilmente impossibile. Insieme a chi è ancora tutto da stabilire: Renzi non li vuole, Orlando ed Emiliano sì ma sono in netta minoranza nella Direzione del PD. Non partecipano al voto finale (mentre Franceschini sì) e così la linea del segretario può passare all’unanimità. Per Orfini è un successo, per altri una evidente conseguenza dell’intransigenza renziana nel non voler accettare le sconfitte elettorali dal dicembre all’inizio di questa estate.
Fin qui la cronaca delle ultime battute politiche del Partito democratico. Ma il dilemma posto da Franceschini, anche se deve poter sembrare secondario per molti renziani, rimane e aleggia nel partito di governo: le alleanze servono per arrivare ad una quota di consensi elettorali che da sola nessuna forza politica riesce ad ottenere.
Quindi si pone il tema delle coalizioni. Parlare di coalizioni significa, alla fine della fiera, parlare di una legge elettorale che consenta di allearsi e quindi di premi di maggioranza non alle liste singole ma ad un insieme di soggetti che si riconoscono in un programma e in un “leader” comune.
Un grattacapo non da poco per chi come Renzi invece vorrebbe “portare il PD in alto”, facendo di questo assunto la missione fondamentale del secondo tempo del suo mandato da segretario. E questo dilemma investe anzitutto il rapporto con i fuoriusciti: con Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani che non lesinano critiche dure al segretario del loro ex partito. Più morbido Giuliano Pisapia che vorrebbe poter parlare con Renzi oltrepassando il Renzi-guida di una coalizione di centrosinistra. Un centrosinistra nuovo quindi, senza il renzismo. Ma con Renzi.
Un arzigogolo degno della Sfinge, un valzer politico difficilissimo da ballare.
Ma nonostante le schermaglie di questi giorni e le interviste di chiusura di Renzi o quelle di apertura della ministra Madia, il gioco delle alleanze dovrà essere affrontato da tutti. Sia che si tratti di grandi partiti, sia che si tratti dei tanto bistrattati “cespugli”, così definiti proprio da chi si ritiene “democratico”, quindi rispettoso di tutte le opinioni. Anche quelle “piccole”, parlando in termini di consenso anche elettorale.
E’ un tema che investe anche il centrodestra (o quel che ne resta): Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia da soli non potranno mai aspirare a conquistare Palazzo Chigi. Il Movimento 5 Stelle potrebbe avere una possibilità con una legge elettorale maggioritaria che prevede il secondo turno di ballottaggio. Il PD, attualmente, da solo non ce la farebbe nemmeno con una ipotesi di ballottaggio. Inimmaginabile ad un primo turno proporzionalista.
Paradossalmente però è proprio un sistema proporzionale a favorire quelle coalizioni in Parlamento, come da Costituzione dettate, ma non prima del voto.
E tutto, si sa, ormai va deciso prima che valuti il popolo sovrano, col suo voto: a questo si riserva una mera ratifica di decisioni già prese, di schemi definiti. Un piatto freddo di dubbio gusto: impossibile da proporre nella cucina di Masterchef e in quella di Giorgione. Non c’è raffinatezza e nemmeno l’eccellenza della buona portata di sana e casalinga cucina d’un tempo…
Sono solo minestre riscaldate di una politica che ha paura del consenso ma che lo cerca affannosamente. E per questo la zuppa è sempre la stessa e ha ormai il sapore di un rancido rancio da vuotare nel campo di battaglia delle schermaglie tutte interne alle dirigenze di soggetti politici che hanno, da tempo, abbandonato proprio in questo i veri valori della sinistra di alternativa, anche meramente riformista.
Serve un nuovo menu collettivamente preparato, privo non di leader ma di vocazioni leaderistiche, di riconoscibilità univoca nella sola figura del portavoce di una alternativa sociale di sinistra.
Gli appelli si susseguono: sono sempre tutti rivolti all’unità a tutti i costi, perché divisi si perde.
Ma l’unità nell’ambiguità è una sconfitta ante litteram rispetto al voto. L’unità fatta su basi di un onirismo che produce l’idea del centrosinistra è già la morte di un progetto di rinascita dei valori e della cultura del socialismo e del comunismo. Dell’alternativa, comunque la vogliate chiamare, visto che sembra che certi termini diano pruriginosità tra molti che poi fanno a gara ad essere moderni “di sinistra”.
Nel menu nuovo servono molti sostantivi e pochi aggettivi, ma anche questi sono utili. Essere visibili è importante. Essere riconoscibili è imprescindibile per tornare a conquistare uno spazio sociale che poggi su una consapevolezza ideale che sia derivazione di un largo sentimento di avversione verso politiche liberiste che vanno escluse senza se e senza ma dall’annovero del paniere vasto del riformismo.
La zuppa del centrosinistra è andata a male. La minestra dei comunisti può ancora avere un buon sapore.

MARCO SFERINI

7 luglio 2017

foto tratta da Pixabay

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