In cerca di droga ai tempi del virus

La dura vita dei tossicodipendenti (soprattutto senza fissa dimora) con i servizi ridotti e lo spaccio al minimo. L’Italia divisa in due anche per gli assuntori: Sert, drop in e dormitori si riorganizzano

«Cerco droga, ne ho bisogno». È finita sui titoli di cronaca la giustificazione di un giovane fiorentino annotata sull’autocertificazione presentata alla pattuglia che lo ha fermato per i controlli anti Coronavirus, ma c’è poco da sorridere. Fa parte della realtà di una fascia di popolazione che in queste settimane sta vivendo un dramma nel dramma: i tossicodipendenti. Alcuni dissimulano abbastanza bene la loro condizione, e hanno mezzi e soldi per fare rifornimento in tutta sicurezza.

Altri non possono o non ce la fanno, e vagano alla ricerca di uno spacciatore su piazza che sfidi le misure di emergenza o si avvicinano per la prima volta a un Sert, oppure ancora spariscono. Qualcuno risucchiato dalla propria emarginazione o in strada, senza fissa dimora, cerca anche di sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine e alle denunce.

Ma a fare la differenza tra le condizioni di vita di consumatori di sostanze più o meno problematici e di barboni, nell’era del Covid 19, è anche la collocazione territoriale. Perché se è vero che nel Nord la paura del contagio ha diminuito notevolmente l’accesso ai servizi, è pur vero che in quella parte di Italia ci sono più centri di supporto e di riduzione del danno, drop in, strutture di prima accoglienza, dormitori. Anche se tutto procede a ranghi ridotti e i medici dei Sert spesso si sono trasferiti nelle corsie d’ospedale a dare una mano nell’emergenza.

«Da noi a Torino i servizi a bassa soglia sono in gran parte chiusi e la distribuzione di siringhe e strumenti per la riduzione del danno avviene solo in alcuni punti e in alcuni giorni – racconta Lorenzo Camoletto, formatore del gruppo Abele – le unità mobili si sono ridotte da quattro a una e la disponibilità in strada di cocaina ed eroina è anche diminuita. Eppure invece di aumentare, si riducono gli accessi: delle centinaia di passaggi al giorno nei servizi che avevamo fino a due settimane fa è rimasto ben poco».

Forse molti hanno fatto scorta, altri non hanno il coraggio di muoversi e resistono, anche perché, come spiega Cristiano Bregano, coordinatore delle unità mobili della Cnca a Milano, «da tempo ormai la qualità delle sostanze si è abbassata molto, insieme ai prezzi, e ciò vuol dire che sono più tagliate, hanno meno principio attivo, danno meno dipendenza e più effetti collaterali imprevedibili».

A Milano, ma un po’ in tutto il Nord est, la repressione ha disperso lo spaccio: «Le piazze classiche utilizzate da fasce sociali più marginali si sono molto ridotte – riferisce Riccardo De Facci, presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza –: a Rogoredo e al Parco delle Groane non c’è il via vai delle persone che compravano e consumavano in loco. Ora vengono in macchina a ritirare, previo appuntamento telefonico con lo spacciatore».

Così, spiega ancora Bregano, «è più difficile per noi agganciarli ai servizi e fare riduzione del danno. I tossicodipendenti sono più abbandonati e tra poco saranno ancora più soli e più vulnerabili».

A Roma e Napoli i numeri dell’accesso ai Sert sono più stabili. Addirittura la sensazione degli operatori – ma i dati certi non ci sono ancora – è che l’utenza sia perfino leggermente in aumento. Forse per via della difficoltà di spostamento sul territorio, o per una marginalità maggiore, o perché, come riferiscono, le sostanze hanno subito un aumento dei prezzi insieme al “rischio d’impresa” e allo stesso tempo è più difficile procurarsi i soldi per l’acquisto (meno lavoro, meno possibilità di delinquere, meno prostituzione), fatto sta che le richieste di metadone in qualche Sert sono aumentate. In via Casilina 1368, il Sert romano che serve anche Tor Bella Monaca, con 1700 cartelle cliniche, come dappertutto, «il contatto con il paziente è diventato più veloce – racconta il medico Michele Pellegrino – stiamo allungando i tempi di consegna dei farmaci sostitutivi per evitare di farli uscire di casa troppo, perciò abbiamo meno contatti. Non si riesce a seguire la routine multidisciplinare, anche se abbiamo rafforzato il supporto telefonico, soprattutto psicologico».

Il problema più grande però – è l’opinione di tutti – sta nei tossicodipendenti (spesso poliassuntori e alcolisti) senza fissa dimora. In Italia le persone che vivono in strada, secondo i dati del Ministero delle politiche sociali, nel 2015 erano 50.724, 85,7% uomini, 4 su 10 italiani, l’80% vive nel Nord e centro.

«A Roma, grazie al sindaco Alemanno, tutta la rete di residenzialità leggera dove vengono accolte le persone con dipendenza media è stata smantellata – ricorda De Facci – è rimasta solo Villa Maraini, con una decina di posti letto. Nella Lombardia ci sono otto strutture di prima accoglienza, 200 posti letto a Milano». Poi ci sono i posti nei dormitori pubblici, ma il turn over lì è bloccato per prevenire il contagio, e si cerca il più possibile di non farli uscire di giorno.

Gli operatori stanno riorganizzando, con difficoltà inaudite, i servizi. La Federserd, la federazione dei Sert, che ogni anno tratta 300 mila utenti, sta lavorando a ritmo serrato per questo.

E, racconta lo psichiatra Alfio Lucchini, ex direttore del Dipartimento delle Dipendenze della Asl Milano 2, «abbiamo lanciato una campagna sui social e attraverso altri canali per invitare le persone tossicodipendenti a rivolgersi ai servizi in questo momento, per la loro salute e per quella degli altri».

ELEONORA MARTINI

da il manifesto.it

Foto di Лечение наркомании da Pixabay

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Antiproibizionismo

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