Il ragazzo che ha scelto la morte come simbolo della vita

Un ragazzo di appena diciannove anni. L’altra mattina, ascoltando le notizie che provenivano dalla Normandia, ho pensato subito allo stereotipo del terrorista adulto, sui quarant’anni, di seconda o terza...

Un ragazzo di appena diciannove anni. L’altra mattina, ascoltando le notizie che provenivano dalla Normandia, ho pensato subito allo stereotipo del terrorista adulto, sui quarant’anni, di seconda o terza generazione come ormai si usa dire.

Ho pensato che fosse magari un basista del Daesh nel nord della Francia e che, con dei complici, avesse messo in atto un attentato molto inconsueto e, per questo, ancora più inquietante e terribile. In una chiesina di uno sperduto paese vicino ad una delle città più cristiane del paese transalpino, Rouen, dove si trova una cattedrale celebre per gli ospiti illustri che ha avuto mesi secoli.

Invece, a spargere il terrore alla messa del mattino in una chiesetta semi deserta, è stato un appena diciannovenne già noto ai servizi di “intelligence” francesi e con l’obbligo del domicilio coatto.

Uno dei due elementi di questa vicenda che mi ha particolarmente colpito, ormai si è capito, è proprio la giovane età del terrorista; l’altra è la scelta del luogo. Per due ragioni: mi sembra indubbio il valore simbolico dato dai terroristi alla locazione scelta: una chiesa cattolica. Un luogo di culto. Le direttive del Daesh è probabile che inducano i “soldati” in forza di quinte colonne nei “paesi crociati” a colpire i simboli religiosi.

Del resto il califfo, con il “proclama di Omar” ha stabilito le linee guida teocratiche dello Stato islamico per apostati, per i “Seguaci del Libro” (ebrei e cristiani) e per atei, miscredenti vari e chi più ne ha, più ne metta. Tutto questo avviene nel territorio ancora controllato da Al Baghdadi. Al di fuori del califfato nero, l’ordine è di colpire senza tregua, inaspettatamente.

E’ quanto è accaduto in Normandia: quale servizio segreto avrebbe potuto salvaguardare e proteggere la chiesina dove un sacerdote è stato sgozzato e dove sono state prese in ostaggio sei persone?

Non ci troviamo a Parigi o a Nizza. Ci troviamo in un dipartimento di periferia della Francia e in una località di campagna, dove alla messa del mattino sono presenti solo l’officiante, tre suore e due parrocchiani.

Attacco alla Francia, attacco alla chiesa e, infine, un messaggio molto chiaro: ovunque siate, anche laddove pensate di essere più al sicuro perché siete lontani da “obiettivi sensibili”, siete e rimanete in pericolo.

Dunque dobbiamo vivere quotidianamente nel terrore che questo si manifesti praticamente ovunque? È evidente che questo non è possibile, non è accettabile e non lo possiamo scegliere come mezzo di protezione psicologica, politica e morale verso un fenomeno criminale come quello rappresentato dal califfato nero.

La politica del califfo è colpire i paesi direttamente coinvolti nei bombardamenti e negli attacchi allo Stato islamico: la Francia, per l’appunto, sembra essere divenuto uno degli obiettivi privilegiati. Ma così anche il Belgio, la Germania…

Esiste, dunque, un Paese che possa dirsi estraneo alla minaccia del Daesh? Forse l’Islanda. Forse il Costa Rica. Non hanno eserciti, non hanno pulsioni imperialiste da sfogare per appagare politiche neocoloniali che portino profitti ai grandi gruppi sostenitori dei rispettivi governi… Forse molto a nord della nostra Europa e nelle zone centrali delle Americhe si può avere una speranza di vivere senza il timore di attentati.

Ma nemmeno questa è una soluzione per evitare ciò che accade nel mondo ogni giorno. Per affrontare veramente le minacce del Daesh serve, anche in questo frangente come in tanti altri, una nuova cultura. Non dell’integrazione o dell’accoglienza soltanto, ma una nuova visione di insieme dei rapporti umani, dell’essenza stessa dell’essere insieme esseri viventi e cittadini. Quindi donne e uomini “politici”, capaci di comprendere le situazioni e trovare insieme delle soluzioni che vadano a colpire i punti di forza di una propaganda fintamente religiosa che fanatizza gli animi e i cuori di giovani proletari e anche di giovani borghesi che scoprono un senso nella vita proprio mentre vanno a morire suicidi o mentre spargono il terrore nel nome di dio.

Sono le politiche aggressive dei grandi e potenti stati del mondo che si fregiano del titolo di “democrazie occidentali” a impedire che una cultura dell’umanità prevalga su quella dell’egoismo profittuale. E’ questa anti-etica del capitalismo, un poco nascosta, un poco mascherata da unica morale possibile, a descrivere abilmente i contorni dei confini entro cui definire accettabile e condivisibile un comportamento e invece ignobile un altro.
E’ sempre questa anti-etica economica a gestire i rapporti umani e a trasformarli in rapporti meramente commerciali, piegando i valori dell’uguaglianza ad una finta uguaglianza fondata invece su una differenza anche razziale, soprattutto di “civiltà”: chi ha una storia di liberalismo alle sue spalle, come gli Stati Uniti d’America e la Gran Bretagna può vantare una superiorità che non viene data a quel mondo arabo che vorrebbe forse essere laico, meno islamico nei rapporti civili, provando a creare una separazione tra religione e Stato che i regimi post coloniali erano riusciti a mettere in essere.

Dall’Iraq di Saddam Hussein alla Libia di Muhammar Gheddafi, passando per la Tunisia, l’Egitto, il Libano e la Siria.
C’è un grande fronte laico nel mondo arabo e l’Islam, che lo si voglia o meno, rimane il culto religioso di gran parte di questo mondo.
Quanto siamo d’aiuto noi occidentali nel lasciare autonomia di gestione a questi popoli affinché giungano a quella separazione tra fede e politica che è una delle conquiste più alte di molte rivoluzioni europee (e non solo…)?
Purtroppo il petrolio fa gola, i gasdotti anche, il commercio di oppio ancora di più e quindi il civile occidente si intrufola, esporta la sua democrazia. E abbatte gli esperimenti che un tempo avevano preso campo e forse avevano evitato sia il formarsi di Al Qaeda quanto del Daesh proprio in un Medio Oriente che oggi, grazie alle esportazioni democratiche, gronda sangue, e che si riversa in Europa con odio, paura, fobie, ossessioni e quanto di più nero e cupo possa influenzare l’animo umano. L’animo di un giovane di diciannove anni che invece di guardare alla vita con la speranza del futuro, sceglie la morte di altri e anche la propria nel nome di dio…

MARCO SFERINI

27 luglio 2016

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli