Il filosofo Engels torna a casa

Arte urbana. Phil Collins riconduce a Manchester la statua del pensatore radicale, coautore del «Manifesto del partito comunista» con Marx. L'artista ha recuperato il monumento, sfuggito alla «dekomunizace» in un paesino al confine russo-ucraino
Friedrich Engels

Il Mif, il Festival che biennalmente ingloba musica, arte, architettura, cinema e che con i suoi potenti progetti artistici ha rianimato anche quest’anno la città di Manchester, nell’edizione 2017 ha visto brillare l’intervento installativo (in forma permanente) di Phil Collins, Ceremony.
Collins, nato a Runcorn ma formatosi negli anni ’90 alla mitica Manchester University (in cui aveva insegnato Alan Turing) è uno degli artisti più anticonvenzionali del panorama internazionale (nomination nella shortlist del Turner Prize 2006) che, attraverso strategie di rappresentazione ipermedializzate, svuota il solito binomio oggetto-fruitore e ribalta le ordinarie dinamiche innescate dall’atto del vedere.

Nella sua analisi socio-politica utilizza un alfabeto pop e intenso in grado di coinvolgere una «intelligenza collettiva», proponendo uno screening del pensiero globale. L’utilizzo di mezzi espressivi come la danza, la musica, l’intervista e tutto l’universo simbolico e politico che esse detengono, lo indirizzano verso la contrapposizione di locale/globale, realtà/finzione, postmodernità/capitalismo, polarità che, nella sua ricerca, inducono a ulteriori snodi.
Ceremony, infatti, è una vera e propria operazione, generata da un processo di investigazione durato molti mesi e che aveva l’obiettivo di riportare a Manchester la statua del filosofo e radicale pensatore Friedrich Engels. Del resto, Ceremony succede a Marxism today (Prologue) del 2011 che è da considerarsi uno stralcio di cinéma verité, un’analisi liquida sulla teoria e prassi marxista nell’apogeo del capitalismo globale. Il titolo stesso assimilava la prestigiosa rivista britannica legata al pensiero marxista, pubblicata dal 1957 al 1999 e fondativa linfa di ricerca per i Cultural Studies.
Qui, la narrazione che scorre nei trentacinque minuti del video riavvolge i racconti di tre ex-insegnati di filosofia marxista-leninista durante l’avvicendamento del ventennio di riunificazione tedesca, dopo la caduta del muro di Berlino dell’89.

Rievocano la brutalità con cui i simboli e le icone storiografiche sono stati sottratti alla gente della Ddr prevaricando i confini della storia biografica, fatta di canzoni d’infanzia, gruppi e luoghi infantili, oggetti e tutto ciò che forma la memoria individuale. In questo processo di ricomposizione storica, Collins sviluppa il progetto di Ceremony in una ricognizione geografica della statua di Engels in quei territori post-comunisti demonizzanti i simboli del passato, come memento del pensiero politico lasciato dal filosofo.
Ciò che interessa Collins è la riflessione sul presente, su come l’ideologia comunista sia stata egemonizzata dalla società capitalista proprio nel cuore del suo impero e quali retaggi abbia trascinato con sé nell’epoca post-ideologica. Pone l’accento sul suo fallimento proprio nel centenario della Rivoluzione d’Ottobre.

«Engels go home» si potrebbe intitolare la sua impresa, poiché Collins parte dal lontano 1942, quando il filosofo ventiduenne si trasferì dalla Germania a Manchester con la famiglia (il padre era un imprenditore tessile che aveva aperto l’azienda Ermen & Engels). La città inglese, fulcro della Rivoluzione industriale, radicalizzò il pensiero del filosofo fino a ispirarlo nella scrittura di La situazione della classe operaia in Inghilterra, pubblicato poi nel 1945. Tre anni dopo, Engels diventerà il co-autore del Manifesto del partito comunista insieme al suo amico Karl Marx. Tra andate e ritorni, il filosofo visse a Manchester più di vent’anni.

Collins così decide di riportare Engels a casa attraverso l’installazione di una sua statua nello spazio pubblico cittadino. La statua ritrovata, che Collins quasi utopisticamente ha ricercato per mesi nei paesi ex-comunisti, è anche la testimonianza della rimozione culturale e fisica, pressoché totale, dei simboli pubblici legati al regime, iniziata subito dopo il crollo del muro di Berlino e acuita in Ucraina nel 2015.
La pervasiva politica di «dekomunizace» che impera tuttora nell’area dell’Europa dell’Est, ha reso l’impresa quasi insperata, fino a quando sul confine russo-ucraino, nella regione di Poltava dell’Ucraina orientale, nel piccolo villaggio di Mala Pereshchepina, in un quartiere precedentemente chiamato Engels, l’artista e il suo staff hanno rintracciato l’agognata statua, alta circa 350 cm, tagliata in due pezzi all’altezza della vita, e nascosta in due sacchi di rafia, incrostata di licheni e con sbavature di pittura giallo-azzurro (colori della bandiera ucraina) ma ancora intatta e in procinto di essere distrutta.

Trovato il monumento appartenente all’era sovietica, sono seguiti otto mesi di negoziati con le autorità ucraine, poiché la scultura era in una sorta di limbo legale e fisico. Alla fine è avvenuta la «donazione» sia pure dopo mesi. Collins l’ha caricata su un autocarro facendole attraversare Kiev, la Polonia, Berlino e Wuppertal e poi Calais, fino a Manchester. Qui, il monumento traslato da un lato all’altro dell’Europa e da una comunità all’altra, riacquisisce un nuovo significato.
La statua di Engels finalmente ricomposta e accompagnata da un nuovo piedistallo, è stata collocata, permanentemente, nella centrale Tony Wilson Place.

TERESA MACRI’

da il manifesto.it

foto tratta da Wikimedia Commons

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Arte e mostre

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