Il volto resistente del mondo etrusco

Ventiquattro statue di bronzo in ottime condizioni, preservate dal fango, sono state rinvenute presso il santuario di San Casciano dei Bagni, in provincia di Siena. Nel sito, anche migliaia di offerte botaniche: oltre a pigne e frutti, c’è un albero piantato con tutta la sua ramificazione nel fondo della vasca, al quale le sculture erano «ancorate»

Sarà perché il cinquantesimo anniversario della scoperta dei Bronzi di Riace si è svolto un po’ in sordina che le due maestose sculture greche del V secolo a.C. sono state riportate ieri all’attenzione del pubblico dal direttore generale dei musei Osanna per annunciare una nuova straordinaria scoperta archeologica?

Nell’alta valle del fiume Paglia – all’ombra della montagna di Cetona, in un’area anticamente appartenente al territorio di Chiusi confinante con le città federate di Vulci e Volsinii (Orvieto), è stato infatti riportato alla luce il Bagno Grande di San Casciano dei Bagni, un’articolata struttura a valenza religiosa e non solo termale che – come indicato nella rivista Archeo (434, aprile 2021) – faceva probabilmente parte della aquae Clusinae (le fonti di Chiusi) consigliate al poeta latino Orazio dal suo medico personale, Antonio Musa.

In un orto abbandonato a pochi metri dalle polle pubbliche ancora in uso, gli archeologi – immersi nell’acqua calda – hanno riesumato dal fango le vestigia di un santuario romano intatto, costellato di altari dedicati a divinità quali Apollo, Iside e Fortuna Primigenia.

Avviato nel 2019, lo scavo promosso dal Ministero della cultura e dal comune toscano è condotto sul campo da Emanuele Mariotti mentre a coordinare il progetto scientifico è Jacopo Tabolli.

Abbiamo raggiunto telefonicamente quest’ultimo, docente presso l’Università per stranieri di Siena: «L’eccezionalità del rinvenimento consiste nel fatto che, nonostante dieci litri di acqua al secondo, il deposito votivo si è conservato integralmente, in quanto nel V secolo d.C. – ci spiega – il santuario è stato sigillato da una copertura di tegole, sopra alla quale sono state disposte una serie di colonne».

Al centro del clamore mediatico è il rinvenimento di un deposito di ventiquattro statue di bronzo presso il santuario etrusco-romano di San Casciano dei Bagni, in provincia di Siena.

Al di là del paragone sensazionalistico, la notizia è stata accolta con enorme soddisfazione dalla comunità scientifica e da quanti, quotidianamente, portano avanti la ricerca archeologica in territori periferici, distanti dai «grandi attrattori» e di conseguenza dalle luci della ribalta. Ma se il santuario di San Casciano dei Bagni è ben lungi dallo scalfire la popolarità di Pompei, onnipresente sui media qualunque cosa riemerga dal sottosuolo, da qualche anno si è comunque guadagnato uno spazio rilevante sulla stampa.

Ma il santuario aveva ricevuto anche delle chiusure precedenti, tra cui una a metà del I secolo d.C., momento in cui viene ristrutturata gran parte della vasca. È allora che le ventiquattro statue scoperte nel corso dell’ultima campagna di scavi vengono riposte ritualmente al centro del bacino.

Rispetto ad altri depositi votivi identificati in passato, la particolarità del Bagno Grande di San Casciano è che, grazie all’associazione con il materiale paleobotanico, l’intero ciclo di deposizione può essere ricostruito. «È un’iperbole ma è come se le statue si trovassero esattamente nell’istante della loro deposizione in acqua – afferma Tabolli –. Poiché sul bronzo non si sono formate patine, dal punto di vista chimico nonché della fisica applicata e dell’idrogeologia sarà possibile riscrivere i processi toreutici (relativi alla lavorazione del metallo, ndr)».

La deposizione di statue databili al II-I secolo a.C. nel fondo della vasca rivela una presenza multiculturale e plurilinguistica inattesa. «Ci troviamo di fronte a iscrizioni in etrusco e in latino in un periodo in cui – sottolinea Tabolli – si sta combattendo un acerrimo conflitto tra le due comunità sia nelle città etrusche che a Roma. La romanizzazione – continua l’etruscologo – deve dunque essere considerata un processo fluido e lungo, che si accompagna ad una ‘resilienza’ da parte degli Etruschi».

Le statue, alte fino a un metro, sono state plasmate su modelli di cera che già recavano delle iscrizioni, dettaglio che dimostra la loro destinazione al voto presso il santuario.

Come chiarisce Tabolli «le iscrizioni dedicatorie, talvolta complesse, raccontano di famiglie diffuse nel territorio in una koiné toreutica e culturale ellenistica dell’Etruria interna: antiche famiglie senesi, chiusine, perugine. È la fotografia di un’Etruria che resiste. Questi sono anche gli anni – prosegue lo studioso – in cui si struttura la religione etrusca, teorizzata e codificata nel I secolo a.C. in azione anti-romana. Abbiamo trovato infatti dei poli viscerali in bronzo che sono un trattato di medicina ma anche di divinazione, associati a folgori in bronzo, attributo di Tinia, mai trovati prima d’ora in questi contesti».

Colpiscono, infine, le migliaia di offerte botaniche: oltre a pigne e frutti, c’è un albero piantato con tutta la sua ramificazione nel fondo della vasca, al quale le statue erano «ancorate»: «L’albero funziona proprio come uno xoanon (effigie scolpita in legno, ndr)», dichiara Tabolli, che si dice invece sorpreso dall’assenza quasi totale di resti di sacrifici animali, ad eccezione di alcune uova. Dal punto di vista stilistico, le statue – simili al celebre Arringatore di Perugia – richiamano grandi maestri della fine del II e dell’inizio de I secolo a.C.

Anche la calligrafia delle epigrafi è di estrema perizia. La sfida è ora quella della tutela che, superando la retorica dell’Italia quale «paese di tesori immensi e unici», ci auguriamo possa essere raccolta dal neoministro della cultura Sangiuliano.

VALENTINA PORCHEDDU

da il manifesto.it

foto: screenshot

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Arte e mostre

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