I due traguardi dei comunisti: il 4 e il 5 dicembre

Ognuno ha le sue incredulità. Gli statunitensi sono alle prese con il colpo morale, politico e antisociale ricevuto con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca; gli italiani, invece,...

Ognuno ha le sue incredulità. Gli statunitensi sono alle prese con il colpo morale, politico e antisociale ricevuto con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca; gli italiani, invece, con il tentativo di superare l’ordine democratico e costituzionale messo in campo da un governo che deve rispondere così compiutamente alle esigenze dei mercati, delle banche di grande prestigio internazionale.
Un prestigio tutto capitalistico, per niente riferibile al resto della società: di JP Morgan, francamente, pochissimi avevano sentito parlare nella loro vita se non da quando i titoli tossici, i subprime e altre sperimentazioni fantasiose della grande finanza avevano fatto capolino sulla scena delle colonne dei quotidiani al tempo della bolla speculativa americana, allorché Lehman Brothers crollò e trascinò rovinosamente giù dai suoi alti piani investitori piccoli e grandi, tutti i dipendenti e mezzo mondo economico a stelle e strisce.
E le incredulità oggi sono credulità vere e proprie: larghe masse di persone sono state pronte a votare per un non credibile presidente americano che ha dato loro ciò che volevano sentirsi dire in tema di immigrazione, di sicurezza dei confini, di economia e di sfruttamento delle risorse.
Ciò che sembra impossibile diviene possibile grazie ad un consenso estorto con l’arma dell’affabulazione, della ripetizione ossessiva di concetti che contraddicono i princìpi su cui si fondano tanto la Costituzione degli Stati Uniti d’America quanto la nostra.
Rosari di parole vuote, di amenità e fuorvianti banalità vengono sgranati davanti a platee plaudenti sostenitori che sono lontanissime da quei “comizi d’amore” di pasoliniana memoria, quando per davvero la gente si sforzava di far uscire, davanti al microfono del regista, poeta e scrittore, dei concetti che provenissero dalle sensazioni provate al contatto con una realtà tutta in ricostruzione.
Una realtà del dopoguerra, dove la Costituzione repubblicana aveva agito come madre riparatrice dei tanti torti subìti e dei tanti alimentati da un popolo italiano ancora annaspante tra le onde ripetutamente basse e alte di una democrazia sconosciuta ai più.
Il sapore della libertà, accompagnato da tutte le sue lacune, deficienze, imperferzioni e storture, era però la premessa per la rinascita morale, civile e sociale del Paese.
Oggi si promette, invece, tutto questo sulla scorta di un sensazionalismo creato sulle prospettive di una rivoluzione economica sempre e comunque solo fondata su un liberismo che si pretenderebbe fondare su un umanesimo impossibile da realizzare.
Umanità e mercato viaggiano insieme soltanto perché il secondo governa, gestisce e sottomette la prima e la sfrutta nei suoi strati più poveri e deboli per ottenere sempre maggiori profitti e per trarre dalla stanca natura di un pianeta sofferente tutto ciò che ancora può assorbire e trasformare in contanti da moltiplicare negli ambienti degli scambi borsitici.
Nessun comizio d’amore, dunque, ma solo comizi di illusioni, di verità a mezz’asta: di un lutto per una democrazia che rischia di deperirsi giorno dopo giorno se la controriforma di Renzi e Boschi sarà approvata il 4 dicembre prossimo.
Gli indicatori della paura renziana che ciò non avvenga ci sono tutti: l’onnipresenza televisiva del capo del governo – segretario del Partito; i quattro milioni di volantini stampati e inviati agli italiani residenti all’estero; la demagogia riversata su temi importantissimi come il lavoro, con promesse impossibili in salsa berlusconiana.
Nessun comizio d’amore e nessuna possibilità di inscenare il cataclisma palingenetico del giorno dopo: passato il voto, qualora prevalga il NO, l’Italia avrà la possibilità di conservare intatta la sua Costituzione e di poterla cambiare senza che un governo si assuma il diritto di stravolgerla per far piacere al grande capitale; passato il voto, dopo la vittoria del NO, l’Italia potrà scendere nelle piazze e chiedere a questo governo di farsi da parte, riprendendosi quella partecipazione popolare che chi siede a palazzo Chigi oggi vorrebbe far scemare eliminando l’elezione diretta del Senato della Repubblica; passato il voto, dopo il prevalere della difesa della Costituzione sul salto nel chiaro futuro oligarchico che ci attenderebbe altrimenti, anche per la sinistra di alternativa si aprono scenari nuovi ma non inediti.
Si apre la questione delle questioni: trovare un minimo comune denominatore politico ed organizzativo per offrire ai poveracci di questo Paese una quarta sponda cui aggrapparsi: sociale, anticapitalista, antiliberista. E non fascista, demagogica, populista e fintamente progressita.
Dobbiamo prima sconfiggere il tentativo di aggressione alla Carta del 1948 e poi occuparci della formazione di una nuova identità di classe, di un nuovo protagonismo di massa delle lavoratrici e dei lavoratori, degli studenti, dei pensionati. Di tutti coloro che ci hanno voltato le spalle per inseguire ricette più sbrigative che si sono rivelate fallimenti irrimediabili: dai balzi verso nuove socialdemocrazie esclusivamente filogoverantive fino alla politica delle invettive e del “te c’hanno mai mannato a quel paese…”.
C’è ancora una parte importante di moderni proletari che deve poter guardare ad una sinistra fatta nuovamente dai comunisti e dalle comuniste, dall’ambientalismo e dal socialismo di sinistra.
Lavoriamo per il 4 dicembre tutto del NO e per il 5 dicembre con l’orgoglio di una grande battaglia vinta e di una ancora tutta da vincere.

MARCO SFERINI

16 novembre 2016

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli