Emergenza Coronavirus ed emergenza democrazia

In questi giorni di emergenza sanitaria è il caso di soffermarci su di un aspetto del nostro vivere quotidiano che non può essere sottovalutato oppure messo da parte in...
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

In questi giorni di emergenza sanitaria è il caso di soffermarci su di un aspetto del nostro vivere quotidiano che non può essere sottovalutato oppure messo da parte in nome dell’eccezionalità della situazione.

Il riferimento è al dibattito e all’esercizio della democrazia nelle sue varie forme di riferimento istituzionale, di confronto dialettico tra le idee attraverso i diversi strumenti di comunicazione, di formazione dell’opinione sul piano pubblico e di controllo verso l’operato di quanti rivestono responsabilità di governo ai diversi livelli.

Non si tratta soltanto del Parlamento che , per quanto ormai da diversi anni mandato in difficoltà da una progressiva stortura nell’esercizio della pratica legislativa, deve rimanere il luogo delegato e rappresentativo della volontà popolare e del confronto tra le diverse sensibilità culturali e politiche.

Si tratta nell’insieme del lavoro di informazione, sviluppo pedagogico, ricerca che deve essere portato avanti attraverso il complesso di agenzie attraverso le quali è demandato il compito di realizzare e sostenere la nostra convivenza civile secondo quanto indicato , prima di tutto, dalla Costituzione.

Il livello di mediazione sociale e culturale dei grandi soggetti associativi dee restare del tutto fondamentale: mai come in questo momento sarebbe sciagurate le espressioni di idee di disintermediazione e di semplificazione nella diffusione dei messaggi pubblici.

Riscontriamo l’emergere su diversi piani di elementi di vera e propria opacità nella determinazione delle scelte: prima di tutto nello specifico del “caso italiano” il potere politico appare sorretto da procedure non propriamente “limpide” se pensiamo al trasformismo imperante e alle formule di possibile scelta della rappresentanza che rendono quanto mai fragile l’intero sistema; in secondo luogo manca la sufficiente chiarezza nella triangolazione tra scelte politiche, decisioni della comunità scientifica, esigenze di carattere economico – sociale dettate dall’ansia del mantenere e/o accrescere un debole e volatile consenso.

Familismi, corporativismi, peso delle lobbie da molto tempo hanno rappresentato un peso molto rilevante nell’insieme della struttura economica, sociale e politica del Paese all’interno di un quadro, come quello europeo, che non è mai riuscito a brillare per capacità d’intervento attorno ai nodi più aggrovigliati che via via si sono presentati nelle dinamiche delle espressioni politiche e dello stesso vivere quotidiano.

In questa fase il rischio che stiamo correndo è quello di vedersi presentare il conto di aver prodotto una stanchezza generale e uno sfibramento sociale tale da rendere accettabile il disarmo della pluralità delle presenze politiche con il relativo affidamento a qualcuno capace di reclamare i pieni poteri, oppure di assumerli al di fuori di qualsivoglia passaggio di verifica del consenso come rischia di accadere in questi giorni avendo l’Italia un presidente del Consiglio mai eletto in un qualsiasi organismo rappresentativo e capace di transitare dalla destra alla sinistra con una disinvoltura che avrebbe fatto impallidire il “connubio” degli anni ‘50 ma del XIX secolo, nemmeno del XX.

Stiamo correndo due gravi rischi:

a) quello di cedere ad un presidenzialismo di fatto, quasi a un commissariamento, realizzato in nome di una necessità di “coesione nazionale” che alla fine potrebbe produrre una indicazione del tipo “ nella notte tutte le vacche della responsabilità sono nere” e tanto varrebbe allora adattarci per sempre all’idea dell’uomo solo al comando;

b) la subalternità verso un ruolo della “tecnica” ormai libera di agire al di fuori della verifica politica in nome di un non meglio identificato “bene superiore”. “Bene superiore” facilmente condizionabile, nella sua identificazione, dal peso di precisi interessi economici dei quali andrebbero individuati i diversi livelli di commistione internazionale e interna con i grandi centri del potere finanziario e produttivo.

Fronteggiare questo stato di cose toccherebbe alle forze politiche che dovrebbero essere capaci di svolgere funzione di indirizzo, controllo, scelta, pedagogia di massa.

Purtroppo questo ruolo è stato svilito e abbandonato nel corso degli anni a favore della spettacolarizzazione individualistica e dell’estetica del potere.

Adesso il pericolo è quello di pagare un prezzo molto alto: quello di un ulteriore abbassamento di qualità nella nostra vita democratica intesa in senso lato, non solo sul piano istituzionale ma anche rispetto al rapporto con la cultura e soprattutto con la comunicazione; comunicazione nel frattempo trasformatasi radicalmente nell’elemento di vera e propria “strutturalità” del sistema.

FRANCO ASTENGO

7 marzo 2020

foto: screenshot

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