La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il decreto Ilva del 2015 che stabiliva la prosecuzione dell’attività di impresa degli stabilimenti, in quanto di interesse strategico nazionale, nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria per reati inerenti la sicurezza dei lavoratori. La questione nacque a seguito dell’infortunio mortale del lavoratore Alessandro Morricella, che l’8 giugno del 2015 fu investito da una violenta fiammata, mista a ghisa liquida ad elevata temperatura che si sprigionò dall’impianto mentre effettuava le operazioni di controllo della temperatura dell’altoforno.
Il lavoratore, appena 35enne, morì dopo quattro giorni di agonia. In seguito all’accaduto, l’altoforno venne sequestrato dalla Procura ma, pochi giorni dopo, il Governo Renzi dispose la prosecuzione dell’attività di impresa, alla sola condizione che entro 30 giorni l’azienda approntasse un piano di intervento contenente «misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio».
La Corte costituzionale, a differenza della sentenza numero 85 del 2013 con cui giudicò costituzionale il primo decreto Salva Ilva del 2012, in quanto pur in presenza del sequestro giudiziario consentiva la prosecuzione dell’attività di stabilimenti di interesse strategico nazionale a condizione perchè contemperava e bilanciava le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità dei lavoratori e l’iniziativa economica e la continuità occupazionale, ieri ha sottolineato, invece, che nel 2015 il legislatore «privilegiò unicamente le esigenze dell’iniziativa economica, sacrificando completamente la tutela addirittura della vita, oltre che dell’incolumità e della salute dei lavoratori». La norma in questione fu «introdotta e tenuta in vita con un’anomala procedura legislativa: introdotta con un decreto-legge subito dopo il sequestro dell’impianto, fu abrogata apparentemente con la legge di conversione di un altro decreto legge ma, simultaneamente, trasposta in un altro articolo della stessa legge di conversione, con una clausola che manteneva per il passato gli effetti già prodotti».
Ciò detto, la sentenza di ieri non inciderà sulla prosecuzione produttiva dell’Ilva di Taranto. In quanto la riapertura dell’altoforno non avvenne grazie al decreto legge in questione, ma in forza di un provvedimento della Procura che, in accoglimento di un’istanza presentata dalla società restituì l’impianto condizionatamente all’adempimento di prescrizioni in materia di sicurezza, poi attuate. Ciò nonostante, la sentenza della Corte è stata accolta con favore da sindacati, associazioni, Comune di Taranto e Regione Puglia, perché riafferma la prevalenza dell’interesse alla salute pubblica sulla produzione anche nel caso questa produzione riguardi un’azienda di strategia nazionale.
«È positivo che la Consulta sia intervenuta con una sentenza per riaffermare la prevalenza dell’interesse alla salute pubblica sulla produzione anche nel caso questa produzione riguardi un’azienda di strategia nazionale», ha commentato il segretario nazionale Fiom Rosario Rappa.
Intanto la trattativa prosegue tra ArcelorMittal e la Commissione europea sulla Concorrenza: l’Antitrust si esprimerà sul caso a maggio. Il colosso franco-indiano si è pronto a chiudere un paio di stabilimenti in Belgio, mentre il gruppo italiano Marcegaglia, che deteneva il 15 per cento delle quote della newco AmInvestCo, uscirà dalla cordata per fare spazio quasi certamente all’ingresso della Cassa Depositi e Prestiti, come garanzia per lo Stato italiano.
GIANMARIO LEONE
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