La Commissione europea ha affossato il provvedimento bandiera del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che vieta produzione e commercializzazione della carne coltivata, sancendone la sostanziale inapplicabilità. La decisione di Bruxelles riguarda soprattutto l’aspetto formale e procedurale della legge italiana.

Lo scorso dicembre Bruxelles aveva aperto una procedura Tris (acronimo per Technical Regulations Information System, volta alla prevenzione delle barriere al commercio) in merito alla legge italiana sulla carne coltivata, procedura che si è chiusa pochi giorni fa, esattamente il 29 gennaio con un esito che il manifesto aveva correttamente anticipato nell’inchiesta pubblicata lo scorso dicembre, all’indomani dell’apertura della procedura da parte di Bruxelles. Ieri è arrivata la notifica.

Secondo la valutazione dello stesso Lollobrigida, la chiusura della procedura è un fatto positivo, che accerterebbe la compatibilità della legge italiana con i principi del diritto Ue. «Diversamente, la Commissione avrebbe proceduto con un parere circostanziato, a prescindere dalle modalità di notifica», scrive in un nota il ministro. Ma le cose non stanno esattamente così.

La Commissione Ue ha comunicato la motivazione che ha portato alla decisione: l’Italia ha violato il diritto europeo. Infatti, le norme comunitarie prevedono che la Commissione o gli altri Paesi Ue possano intervenire, con osservazioni o obiezioni, sulla normativa italiana, nel momento in cui essa può danneggiare il mercato unico dell’Ue. In questo caso tuttavia il vizio di forma è rappresentato dal fatto che la legge è già stata approvata dall’Italia.

Roma aveva ritirato e poi ripresentato a Bruxelles la normativa solo alcuni giorni dopo l’approvazione del ddl e la promulgazione a inizio dicembre dello scorso anno. Il motivo del ritiro prima della promulgazione era proprio nella necessità di evitare il periodo d’attesa imposto dalle norme comunitarie con la procedura Tris. Un escamotage di Roma, insomma. Che però non ha evitato di infrangere di fatto le regole Ue.

La conseguenza, come chiarisce in una nota la Commissione, è che leggi come questa, adottate in violazione delle norme Ue, possono essere dichiarate inapplicabili dai tribunali nazionali. Questo vale non soltanto per la carne coltivata, prodotto che al momento non è sul mercato, ma anche per il divieto imposto da Lollobrigida per le etichette che indicano prodotti sintetici vegetali come “hamburger” o “cotolette” già presenti sul mercato italiano. «In sostanza sembra che l’Italia si sia affrettata ad adottare una legge inapplicabile», commenta Francesca Galelli, di The Good Food Institute.

«Il governo dovrebbe ora utilizzare questa finestra per un cambio di rotta. In sede di Consiglio, l’Italia insieme ad altri, la scorsa settimana, ha chiesto alla Commissione europea di svolgere delle consultazioni trasparenti e basate sulle evidenze scientifiche sulla carne coltivata. Lo stesso deve avvenire da noi, questa volta prima di adottare un divieto non proporzionale e ingiustificato».

«Ecco cosa resta della legge bandiera del ministro: un guscio vuoto e anche un po’ rotto, disapplicabile per difetto di procedura da qualsiasi giudice nella parte che riguarda la carne coltivata, e inapplicabile nella parte sulla cosiddetta carne vegetale perché mancano i decreti attuativi che il governo, immagino, a questo punto si guarderà bene dal fare», commenta Benedetto Della Vedova, parlamentare di +Europa.

«Chiederei al ministro ma anche a Coldiretti: valeva la pena fare tutto questo rumore?». «Lollobrigida aveva tirato dritto, sostenendo che l’Italia non avrebbe avuto problemi. La verità è che il ministro voleva evitare una immediata bocciatura da parte della Commissione e così si è sottratto al giudizio», commentano i 5Stelle della Commissione Agricoltura di Camera e Senato.

ANDREA VALDAMBRINI

da il manifesto.it

foto: screenshot tv