Bingo Bongo saremo tutte e tutti noi…

“Al governo meglio Bingo Bongo”. Apro la rassegna stampa di due o tre canali televisivi e sento ripetere ovviamente gli stessi titoli con differenti commenti da parte dei giornalisti....

“Al governo meglio Bingo Bongo”. Apro la rassegna stampa di due o tre canali televisivi e sento ripetere ovviamente gli stessi titoli con differenti commenti da parte dei giornalisti.
Toccano gli schermi e aprono le immagini delle prime pagine dei giornali. Su di uno il titolo che vuole stigmatizzare la vicenda dello Ius soli è appunto l’incipit di queste poche righe. “Meglio Bingo Bongo.”.
“Bingo Bongo”.
Retoricamente e stupidamente mi sono fatto la domanda banale: “Ma come si fa a fare un titolo così?”. Essendo una domanda mentalmente retorica, mi sono risposto in pochi secondi: “Sì fa, visto che lo hanno fatto”. E visto che pure viene letto in televisione e alla radio: non può non essere così, perché i giornali bisogna leggerli, perché il diritto all’informazione è sacrosanto e, quindi, la libertà di stampa non va limitata.
Ma la libertà è un diritto fino a quando non viene esercitata come una clava contro i diritti di altre persone, fino a quando non diventa un esercizio sistematico, quotidiano (per l’appunto), contro un obiettivo da perseguire a tutti i costi, con tutte le terminologie, con qualunque metafora.
Che sia offensiva e denigratoria, razzista, xenofoba, antisociale, poco importa. L’anti-stile di condotta di un giornalismo che parla offendendo non permette alla libertà di espressione e di stampa di essere pienamente tale.
La grossolanità volgare di titolazioni e concetti come quello di cui qui si discute nasconde tuttavia una sottigliezza insidiosa: quella dell’interpretazione.
E’ sempre sul filo del “detto e non detto”, è l’illazione, il lasciar pensare, il solleticare le deboli menti piene del vuoto di una giornaliera insidia di banali concetti tutti protesi ad alimentare la paura del diverso, il terrore per la presunta “invasione” dei migranti (salvo pagare i signori dei barconi per fermare le partenze dalla Libia), a scorgere il nemico nell’uguale a noi nella sciagura della crisi: il povero deve essere nemico del povero. Altrimenti lo sarebbe, per ovvia sistemica evidenza, il ricco e la lotta di classe i padroni proprio non la vogliono alimentare.
Meglio assopirle le coscienze, meglio far credere che il problema non sono le speculazioni finanziarie e l’accaparramento dei profitti da parte dei grandi signori della finanza internazionale tra bolle speculative e investimenti all’estero fuori dall’area della fiscalità italiana.
Così c’è spazio per tutto: per “Bingo Bongo” che può essere la critica al film di Pasquale Festa Campanile oppure un riferimento bonariamente “spiritoso” ad una scimmia, magari un parallelismo dal sapore poco evolutivo tra uomo e scimmia. Chi lo sa?!
Qualunque sia la tendenza politica di un quotidiano, personalmente mi rattrista molto assistere ad una dequalificazione del linguaggio, quindi ad un abbassamento del livello culturale che viene di conseguenza prodotto da immagini descritte dalle parole che sono degne del peggiore dei bar di provincia dove regna il pressapochismo del discorso, dove la superficialità è sovrana, dove la banalità del male arriva prontamente a soccorrere chi non saprebbe altrimenti nemmeno tenere in piedi una frase in italiano.
L’umiltà di tacere, se non si sa, se non si è all’altezza di un argomento, è morta. “Un bel tacer non fu mai scritto”, proverbialmente parlando si potrebbe dire…
Se fossi stato un giornalista, di qualunque testata televisiva o radiofonica, mi sarei rifiutato di leggere in TV o alla radio il titolo del “Bingo Bongo”. Invece il tutto pare normale. Deontologicamente normale. E questa normalità è preoccupante, perché normalità non lo è per niente, perché domani “Bingo Bongo” potremmo essere tutte e tutti noi…

MARCO SFERINI

15 settembre 2017

foto tratta da Pixabay

categorie
Marco Sferini

altri articoli