Sembra incredibile che nell’Anno del Signore 2023, in una piazza di Milano, nel cuore dell’Europa, sotto la statua di Leonardo, «Rinnovatore delle arti e delle scienze» – figlio, secondo recenti scoperte, di una donna caucasica fatta schiava – debbano radunarsi migliaia di uomini e donne liberi per difendere i diritti dei bambini. Piccoli umani in carne ed ossa, non agglomerati di cellule e sangue. Che poi siano figli di coppie dello stesso sesso dovrebbe essere di poco conto. Eppure non è così.

Sono arrivati in migliaia (diecimila, secondo gli organizzatori), anche da fuori regione, di tutte le età, di tutti gli stili di vita. Da soli, con amici o portando bebè nel marsupio o in carrozzina, con schiere di ragazzini festanti al seguito o piccoletti sulle spalle, e i soliti nonni pronti al supporto.

Così tanti da spiazzare perfino i promotori della manifestazione «Giù le mani dai nostri figli e dalle nostre figlie» – Famiglie arcobaleno, Arcigay e i Sentinelli (laici e antifascisti) – che in Piazza della Scala hanno parcheggiato un camion troppo poco attrezzato per la folla che ha riempito ogni angolo, e che vi si è accalcata attorno per poter ascoltare gli interventi, i canti, le testimonianze di chi è salito su quel palco quasi improvvisato.

Protestano contro lo stop, imposto al sindaco, alla trascrizione dei certificati di nascita dei figli nati all’estero da coppie gay e alla creazione dei certificati dei figli nati in Italia da coppie lesbiche. Lui, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, arriva a sorpresa verso le 16. Aveva annunciato il forfait per questioni di ordine pubblico, visto che nelle stesse ore da Piazzale Loreto un corteo stava sfilando per ricordare i venti anni dell’omicidio di Dax e l’anniversario di quelli di Fausto e Iaio (tutti celebrati anche in Piazza della Scala).

«Ma che io sia qui o altrove, sono sempre con voi, lo sono stato dal primo momento», assicura il sindaco. Parla di un «vuoto normativo da colmare», Sala, perché la volontà dei sindaci rischia di non bastare. «Ma io, come ogni primo cittadino, ho visto. Ho parlato con voi, ho conosciuto i vostri figli, le vostre storie. Questo fa un sindaco: si immedesima».

E la piazza è lì per protestare, con i cartelli e le bandiere delle associazioni e di qualche partito (perlopiù Pd, M5S, +Europa). In migliaia alzano le penne biro nel pugno («sinistro, ovviamente») per un flash-mob di incitamento ai sindaci, affinché disattendano le indicazioni del prefetto milanese e del governo Meloni, che si è tirato fuori dall’Europa civile.

Ma soprattutto solo lì per testimoniare. «Spiegate voi a mio figlio che non sono sua mamma», è scritto su un cartello. «Se ci cancellate, chi ci guadagna? Non loro…», si legge su un altro con disegni di bambini danzanti. «Basta con queste famiglie stereotipate da Mulino Bianco, sono solo attori pagati», assicura l’attrice Annachiara Marchioro che da «donna, madre e lesbica», si dichiara «il peggiore incubo di Meloni dopo Elly Schlein e Peppa Pig».

La famiglia ideale e quella reale: se ne parla nella piazza antistante così come dentro il Teatro della Scala, dove in questi giorni va in scena quel racconto di Hoffmann in cui il poeta-autore si innamora di Olympia, la donna automa, e malgrado ogni evidenza si rifiuta di credere che quella macchina non sia reale.

I milanesi Andrea e Alan hanno 37 e 38 anni e una bimba di sei mesi, Alice. In Canada hanno trovato una loro coetanea «con quattro figli, che aveva cominciato il percorso di Gestazione per altri a favore di suo fratello. Poi non se n’è fatto più nulla ma in lei era rimasta la voglia di aiutare qualche coppia desiderosa di prole – raccontano -. E stato un percorso bellissimo, e totalmente altruistico, senza alcun pagamento. In Canada c’è una legge molto severa. Abbiamo vissuto insieme per un anno e ci siamo legati molto alle bambine della nostra gestante. Stiamo pianificando anche le prossime vacanze insieme, siamo diventati una grande famiglia».

Andrea e Alan sarebbero stati disposti anche ad adottare un bambino, ma è proibito. Sono riusciti per fortuna a far registrare Alice anche in Italia, ma ora hanno un po’ paura.

Massimo invece, con una storia di stepchild adoption negli Usa, non ha timore: «Perché siamo tanti, e perché vedo una risposta forte della società civile». E anche perché, come ricorda la Rete Lenford, «da Pistoia a Bologna, da Trento a Bari, 15 tribunali in meno di due anni ci hanno dato ragione e hanno tutelato i nostri figli». Però la stepchild adoption (l’adozione dei figli del proprio partner) non è la soluzione: «Come si fa a sottoporsi al giudizio dei tribunali, allo scandaglio dei servizi sociali, per farsi riconoscere per quello che sei, un genitore?».

La risposta è attesa dalla politica. La chiede questa piazza matura, che non accetta passerelle. Tra la folla, intervistati dai giornalisti, ci sono tra gli altri l’ex sindaca di Torino 5S Chiara Appendino, la prima a riconoscere i figli delle coppie Lgbt, il candidato del centrosinistra alle regionali lombarde Pierfrancesco Majorino, europarlamentare, e il segretario di +Europa Riccardo Magi (proponente di una legge presentata a inizio legislatura sullo stato giuridico dei nati con Procreazione medicalmente assistita, che risolverebbe il problema delle trascrizioni).

Ma soprattutto c’è Elly Schlein, consacrata in questa piazza nella sua vocazione di segretaria per acclamazione. Arriva e tutti gli occhi sono per lei, fa il bagno di folla, stringe mani, sorride, regala «emozioni forti» (parole raccolte tra la folla). Poi sale sul palco, saluta sbracciandosi e se ne va. Senza una parola. Non occorre.

Solo più tardi spiegherà ai cronisti: «Ci stiamo già muovendo, con una legge preparata e scritta insieme alle associazioni, alle famiglie arcobaleno e alla rete Lenford. E c’è qui anche Alessandro Zan per portare avanti anche in Parlamento le aspettative che sono emerse dalla piazza, cioè di poter vedere riconosciuto per legge il diritto delle coppie omogenitoriali e dei loro bambini».

ELEONORA MARTINI

da il manifesto.it

foto: screenshot You Tube