Alcune proposte di politica economica e industriale

Il clamore delle promesse da marinaio (canone TV, tasse universitarie, ecc, ecc) e le stridenti contraddizioni contenute nei dati ISTAT sull’occupazione stanno accompagnando le prime ore di questa difficile...

Il clamore delle promesse da marinaio (canone TV, tasse universitarie, ecc, ecc) e le stridenti contraddizioni contenute nei dati ISTAT sull’occupazione stanno accompagnando le prime ore di questa difficile campagna elettorale.

Partiamo dai dati ISTAT: l’Istituto di statistica vanta, mostrando le cifre del mercato del lavoro al Novembre 2017, il raggiungimento del record degli occupati con 23 milioni 183 mila unità, 345.000 in più in un anno.

Inoltre viene mostrato il calo della disoccupazione giovanile all’11% e quella complessiva al 32,7%.

Si tratta, per la verità, di un gioco di facili illusioni: il 90% delle nuove occupazioni è a termine e, in generale, per brevissimi periodo essendo conteggiati come occupati quanti nel periodo indicato hanno lavorato anche soltanto un’ora per settimana con contratto a chiamata.

Nel restante 10% che risulterebbe occupato stabilmente una parte cospicua deve accontentarsi di essere impiegata a tempo parziale, molto spesso contro la sua stessa volontà.

Si registra, per bocca dello stesso ministro del Lavoro Poletti, il fallimento di garanzia – giovani e cresce la selva di agevolazioni alle imprese destinate a incentivare ancor di più la precarietà e comunque rivolte verso settori a bassissima se non inesistente indice di produttività.

Il gioco della percentuale riguardante l’occupazione giovanile inoltre riguarda lo spostamento nelle fasce d’età delle persone.

Il quadro quantitativo ci indica, ancora, che se il numero degli occupati è cresciuto è diminuito il monte di ore lavorate (e non certo per frutto di un miglioramento nelle condizioni di lavoro o di applicazione dell’antico slogan “lavorare meno, lavorare tutti”.

Inoltre si aspettano gli effetti della conclusione dei tre anni di sgravi previsti dal job act (un’ondata di licenziamenti?) e rimane tutto da calcolare il lavoro nero: un indicatore in questo senso c’è fornito dalla netta diminuzione della quota di lavoro autonomo.

Una campagna elettorale, per quel che vale l’occasione, dovrà quindi necessariamente essere condotta non solo e non tanto smascherando illusioni e falsità oppure sviluppando proposte, anche condivisibili, ma in forma disorganica.

Va evidenziato con grandi forze come si sia di fronte ad una situazione di crisi strutturale di un intero modello di sviluppo, acuita dalle scelte compiute in sede di costruzione dell’Unione Europea.

Si arrestata qui definitivamente quell’idea di una presenza, almeno, di tipo “socialdemocratico” per la quale è stata attuata la stessa scissione del PD e realizzata un’aggregazione elettorale che punta alla ricostituzione del centro sinistra e alla formazione di una presunta “sinistra di governo”.

Occorre invece predisporsi a una fase di opposizione netta e senza sconti cercando di mobilitare il massimo di soggetti, fuori e dentro il mondo del lavoro, offrendo loro non semplicemente una possibilità di lotta, ma anche di prospettiva alternativa sul piano politico.

In questo senso, molto schematicamente, credo debbano essere individuate della priorità di contenuto.

In questo senso appaiono come centrali e assolutamente prioritarie le drammatiche vicende legate al progressivo processo di ulteriore de-industrializzazione in atto nel nostro Paese che chiamano a una riflessione attorno alla possibilità di avanzamento di una proposta di politica economica tale da rappresentare un’alternativa, aggregare soggetti, fornire respiro a un’iniziativa “di periodo”.

Il concetto di fondo che è necessario portare avanti e rilanciare è quello della gestione e della programmazione economica, combattendo a fondo l’idea che si tratti di uno strumento superato, buono soltanto – al massimo – a coordinare sfere private fondamentalmente irriducibili.

Una gestione e programmazione economica condotta avente al centro l’idea dell’iniziativa pubblica in economia attorno ad alcuni fondamentali campi d’intervento:

  • Il territorio. Serve un piano straordinario per il ripristino dell’assetto idro-geologico del territorio che va franando dappertutto, dal Nord al Sud, sulle coste e nell’entroterra. Eguale urgenza ha, ovviamente, il tema della difesa dell’ambiente nel suo complesso, dello smaltimento dei rifiuti, della cementificazione;
  • Le infrastrutture. La situazione delle ferrovie italiane è semplicemente disastrosa, così come quello delle strade e autostrade, in particolare al Sud;
  • La nazionalizzazione delle utilities energetiche;
  • Il finanziamento della ricerca destinata soprattutto verso l’innovazione di processo nell’industria;
  • Il rilancio del settore industriale. L’Italia è priva da decenni di una vera politica industriale. Siamo, per varie ragioni, in forte difficoltà nella siderurgia, nella chimica, nell’agroalimentare, nell’elettromeccanica, nell’elettronica. In questa situazione ormai sono asfittici e sottoposti al processo di delocalizzazione anche quei settori “di nicchia” sui quali si era basato lo sviluppo anni’80 – anni’90;
  • La nazionalizzazione dei gangli vitali del sistema bancario con il ritorno alla riunificazione tra Tesoro e Banca d’Italia;
  • La messa all’ordine del giorno di forti investimenti sul terreno del rapporto tra pezzi fondamentali della struttura industriale esistente e la difesa dell’ambiente. Un tema emblematizzato non soltanto dalla vicenda dell’ILVA Taranto che, comunque, ha messo in luce anche altri limiti di fondo posti sul piano delle dinamiche nel processo produttivo in settori fondamentali.

Lasciamo anche da parte, per motivi di economia del discorso, i temi dell’intreccio inedito che si sta realizzando, ormai da qualche anno, tra struttura e sovrastruttura, in particolare nell’informazione: si tratta comunque di un tema assolutamente decisivo nella lotta sociale e politica di oggi.

Se esiste ancora, anche in forma surrettizia dal punto di vista della presenza politica ed elettorale, una sinistra che intenda portare avanti, assieme, un programma di opposizione e di alternativa, senza cadere nella trappola dell’omologazione ai modelli dell’avversario e senza legarsi a settori politici dai quali possono venire soltanto elementi di ulteriore sopraffazione per il movimento operaio, si ha il dovere di pensare, appunto, nei termini dell’opposizione per l’alternativa, lavorando prima di tutto sul tema della propria autonomia politica, programmatica, organizzativa elaborando una complessità di riferimento programmatico che fornisca un indirizzo di scelta di fondo, in questo caso relativo alla gestione e all’intervento pubblico in economia, che costituisca il background di specifiche proposte programmatiche.

FRANCO ASTENGO

11 gennaio 2018

foto tratta da Pixabay

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