Scompare dopo una breve malattia Paolo Taviani, classe 1931 a pochi anni dalla scomparsa del fratello Vittorio nel 2018, un sodalizio cinematografico che ha offerto al nostro cinema continui elementi di novità, di seria profondità, procedendo su una linea di impegno politico ricco di influenze culturali con i loro film che rileggevano il passato da maneggiare come strumento fantastico.

Difficile immaginarli separatamente, eppure le differenze caratteriali erano evidenti, Paolo il più irruente, esuberante, Vittorio il più introverso e «saggio» come si conviene a un fratello maggiore, ma inseparabili nella regia.

L’uscita di Leonora addio nel 2022 il film che firmava da solo, mostrava quelle caratteristiche serie ma soprattutto giocose, tornando alla passione per Pirandello, con passaggi inauditi dai suoi scritti alla biografia, dalla crudeltà alla tenerezza e soprattutto all’ironia, maneggiando tutte queste derivazioni con gusto prettamente cinematografico.

Insieme i due fratelli avevano deluso le aspettative della famiglia che li avrebbe voluti avvocati o ingegneri, lasciando la Toscana per Roma per occuparsi di teatro e iniziare a realizzare documentari, collaborando con Joris Ivens in L’Italia non è un paese povero, insieme a Valentino Orsini con cui esordiscono nel lungometraggio in maniera non sommessa con Un uomo da bruciare (1962) un film, diceva, che era un atto d’amore per il neorealismo, «nato dalla paura dei fantasmi che il cinema continua a proporci, uomini senza qualità, rinunciatari», protagonista un contadino siciliano che vive drammi esterni e conflitti dentro di sé.

Per Paolo Taviani il loro cinema era come realizzare lo stesso film un capitolo dopo l’altro, ma caratterizzati fin dall’inizio dal rifiuto del populismo attraverso l’uso dell’ironia (fin dall’inizio) e senza schemi naturalistici. Ricordiamo l’anteprima dei Sovversivi, una proiezione che accese discussioni, di fronte a un materiale mai visto prima, in cui i militanti in crisi si riconoscevano, film culminante nel funerale di Togliatti, di cui ricordiamo le improvvise bandiere rosse in un film in bianco e nero, ma forse è solo un ricordo sbiadito.In famiglia eravamo borghesi e mazziniani.

Nostro padre era antifascista. L’incontro che ci cambiò l’esistenza fu quello con Valentino Orsini. Operaio e intellettuale. L’incertezza si placa in Sotto il segno dello scorpione (1968) visto come un apologo, la rivoluzione come una favola dai tempi lunghi.

Un film che Paolo Taviani definiva un film semplice e perciò scandaloso, così come San Michele aveva un gallo (1971) procedeva con la crisi delle ideologie, accompagnava una generazione, segnava la fase di riflusso, una differenza tra protagonista e «coro», un film che resta come eredità di riflessione, insieme agli altri, forse come lascito più generazionale, da rivedere ancora una volta. Così Allonsanfant segnava il momento di riflusso, dove ci si poteva riflettere in due contrapposte posizioni.

Rivolto a una generazione, alla lotta patriarcale che si conduceva da tempo era anche Padre padrone (1977) dal romanzo di Gavino Ledda che infatti era il giovane compagno sardo così silenzioso della facoltà di lettere («una persona ridotta al silenzio tanto da diventare glottologo»), un film sul silenzio, sulla solitudine e sulla natura, film vincitore della Palma d’oro a Cannes.

Dopo la storia di lotte e sconfitte, come Il prato (1978), risplendeva di emozione e speranza La notte di San Lorenzo (1982) che si rifaceva a un primissimo documentario San Miniato ’44, girato nel 1954 con Orsini e Zavattini, la storia del massacro nella cattedrale della loro cittadina e del viaggio con il padre verso la liberazione, vissuto da bambini, una storia riscritta con sguardo infantile («abbiamo visto un mondo paralizzato dal fascismo trasformarsi in senso opposto»).

Sono ritornati a raccontare quella tragica vicenda interrogando tutti quelli che l’avevano vissuta, trovando che era stata vissuta da tutti allo stesso modo: quando tutto è perduto non resta che prendere in mano la propria esistenza, e non raccontando i fatti così come erano accaduti, ma come erano rimasti vivi nella coscienza, nel ricordo.
Pirandello arriva con Kaos (1984) ad alleggerire e portare un divertimento inaspettato.

Era stata anche l’occasione di tornare in Sicilia dopo Un uomo da bruciare, una terra che diventerà un secondo approdo, una consuetudine per tutta la famiglia, anzi per tutte e due le famiglie. Divertimento come per i bambini che rotolano nella pomice, tra cui Giovanna, figlia di Vittorio («mi chiamano la figlia ’dei Taviani’», forse anche Ermanno e Valentina a cui va l’abbraccio della nostra redazione.

SILVANA SILVESTRI

da il manifesto.it

foto: screenshot You Tube