Quanti rospi nello stagno della crisi

Se il bacio al rospo ci sarà o no è ancora troppo presto per dirlo, mentre l’immagine usata dal manifesto è stata (dai social e da vari editorialisti) diversamente...

Se il bacio al rospo ci sarà o no è ancora troppo presto per dirlo, mentre l’immagine usata dal manifesto è stata (dai social e da vari editorialisti) diversamente raccolta. Pur prevalendo l’interpretazione classica, favolistica: il rospo, la principessa, il bacio miracoloso che trasforma la bestia in principe (molti nomi “regali” già circolano sul futuro presidente del consiglio e sui possibili ministri di una nuova maggioranza).

La realtà è leggermente diversa. Sicuramente non c’è il rospo Dini che avevamo ricordato perché il dilemma nacque allora. Sono cambiati i protagonisti e soprattutto sono cambiate le forze politiche, a destra e a sinistra, oltre a esserne nate di nuove, come il M5S. Il riferimento a Dini non è piaciuto a Antonio Padellaro che sul Fatto quotidiano (citando, almeno lui, il manifesto) ci rimprovera di non valutare il fatto che, dopo Dini, Berlusconi tornò per lunghi anni al potere. Si potrebbe facilmente obiettare che dopo quel rospo ci furono gli anni, non proprio da buttar via, dei governi Prodi e dell’alternanza.

Tuttavia guardando al prossimo futuro la dura realtà ci dice che questa volta i rospi si sono moltiplicati e non si vedono in giro salvifiche principesse.

A dire la verità poi il primo bacio tra rospi è avvenuto a giugno dell’anno scorso con la stipula del contratto di governo tra pentastellati e leghisti.

Avevano svolto campagne elettorali gli uni contro gli altri, eppure Salvini e Di Maio si baciarono, immortalati in un famoso murales.

E potrebbero tornare insieme volendo dare seguito ai boatos sulle profferte di un Salvini che annaspa e le prova tutte, non sapendo come uscire dal cul-de-sac in cui si è messo. Del resto non è facile metabolizzare rivalse e rancori, ben rappresentati nell’ultimo botta e risposta di Ferragosto tra il presidente del consiglio e il suo vice leghista, nel braccio di ferro sulle sofferenze dei migranti sequestrati per settimane sulla nave Open Arms.

La metafora del rospo è stata utilizzata anche da Repubblica per mettere in fila tutti gli ostacoli sulla via della soluzione della crisi e, alla fine, giungere alla conclusione che sarebbe meglio andare al voto, come reclama Salvini, e, detto in soldoni, votare Pd.

Trascurando giusto un dettaglio: se si andasse subito ad elezioni, per quali meriti il Pd dovrebbe essere premiato (per le sue idee? Per la sua irresistibile opposizione? Per la sua unità?). Onestamente di ragioni capaci di richiamare l’elettore, astensionista o grillino, non se ne vedono, né in Italia, né in ambito europeo, a meno di un cambiamento forte della politica economica sia sul fronte interno che nel contesto internazionale.

Questa è anche una crisi surreale, che c’è e non c’è, capiremo nei prossimi giorni la sua vera natura e le chances per un nuovo governo di legislatura. Ben sapendo che la situazione economica interna è preoccupante, come hanno sottolineato allarmati i sindacati, che il motorino tedesco si è inceppato, che la «guerra» tra Usa e Cina sta provocando enormi danni.

Non solo. Per sminare il campo, Pd e M5S dovranno buttarsi alle spalle odi, accuse, ingiurie. Un clima alimentato soprattutto per merito di Grillo e Renzi, proprio i due super-rospi che ora sembrano rivolgersi parole amorose, facendo storcere il naso a molti, in gran parte a ragione.

E tuttavia c’è un interesse generale da tenere bene a mente per chi prenderà le decisioni e per chi ha a cuore la storia di un paese nato dalla Resistenza. La sostanza è che siamo di fronte a una crisi di sistema, a un bivio della democrazia italiana che corre il rischio di trasformarsi in un regime fascio-leghista. Salvini ha espresso il desiderio di votare il 13 di Ottobre perché è anche il giorno delle elezioni in Polonia. Teniamolo a mente.

NORMA RANGERI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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