Povertà e nessun tipo di prevenzione nelle baraccopoli al tempo del virus

Insediamenti informali. L’Unione inquilini chiede al governo interventi per le tendopoli di migranti e rom

La casa è diventata il rifugio, l’argine individuale di fronte all’epidemia in corso. Ma spesso dimentichiamo le migliaia di persone che abitano nei rifugi di fortuna o nei veri e propri slum disseminati in tutto il paese, da nord a sud. Sono cittadine spontanee che spesso si inseriscono nel tessuto produttivo come serbatoi di manovalanza a basso costo, spesso costituita da migranti senza diritti.

L’allarme arriva da Unione inquilini, che ieri ha scritto al governo e alle amministrazioni competenti per chiedere quali misure stiano prendendo per tutelare i migranti delle baraccopoli, con particolare attenzione alle tendopoli di San Ferdinando e della Piana di Gioia Tauro, in Calabria, dove vivono fino a 2mila persone. Il sindacato degli inquilini chiede che agli abitanti delle baraccopoli informali, i ghetti per lavoratori stagionali più grandi d’Europa, vengano riconosciuti una sistemazione degna e a quelli che vivono nelle tendopoli si forniscano strutture che consentano un ambiente più salubre.

Nel rapporto si citano i documenti prodotti da Medici per i diritti umani, da Mediterranean Hope (il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia), da Sanità di Frontiera, dal centro socio-culturale Nuvola Rossa di Villa San Giovanni e dal Comitato solidarietà migranti. Sono testimonianze che riportano dati che tra l’altro provengono dalla clinica mobile di Medici per i diritti umani che lavora sul campo e che evidenziano come molti braccianti presentino casi di infiammazione delle vie respiratorie.

Per limitarsi agli ultimi mesi, questo tipo di patologia è stato diagnosticato nel 23% dei pazienti visitati. «È la dimostrazione – sostiene il rapporto – di come le condizioni abitative favoriscano il protrarsi dei sintomi e il decorso di problemi legati alle malattie respiratorie». E il sindacato inquilini: «Date le condizioni strutturali e igienico-sanitarie dei luoghi di dimora dei migranti, per lo più impiegati in agricoltura, nel caso in cui si presentasse un caso di positività al Covid-19, la propagazione potrebbe avvenire in modo rapido e difficilmente controllabile».

La denuncia punta l’obiettivo sull’abitare informale e sulle situazioni di povertà estrema. Mentre le carte di Unione inquilini vengono trasmesse a Palazzo Chigi, gli operatori dell’Associazione 21 luglio raccolgono ed elaborando gli ultimi dati sugli effetti dei decreto emergenziali del presidente del consiglio sulle persone che vivono in cinque baraccopoli formali di Roma.

Il documento verrà diffuso domani e riguarderà le condizioni di vita di tutte le persone che vivono ammassate nei campi, spesso rom e sinti, all’epoca della contenzione da virus. Si tratta delle baraccopoli di Castel romano, di via Salone, di Casal Lombroso, di via dei Gordiani e di via Candoni, alla Magliana. Insediamenti riconosciuti che l’attuale giunta aveva promesso di chiudere e nei quali vivono in più di 2mila. «Se una persona è positiva in un campo devono metterne in quarantena centinaia – racconta Carlo Stasolla, della 21 luglio -. Se dovesse scattare l’ordinanza che dichiara il regime di isolamento fiduciario domiciliare il servizio sanitario dovrebbe provvedere all’alimentazione per tutti gli abitanti».

C’è già un precedente. A Cuneo, in un campo in cui vivono in 50, una persona aveva avuto contatti con un’altra risultata positiva e sono scattate le restrizioni.

GIULIANO SANTORO

da il manifesto.it

foto: screenshot

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