Oggi in Olanda, domani in Francia

Il populismo si impantana nei Paesi Bassi: Wilders non avanza come vorrebbe e giura che nessuno, tanto meno il primo ministro Rutte, si è liberato di lui. Cantare vittoria...

Il populismo si impantana nei Paesi Bassi: Wilders non avanza come vorrebbe e giura che nessuno, tanto meno il primo ministro Rutte, si è liberato di lui. Cantare vittoria è prematuro, ma almeno da Amsterdam, per la prima volta in Europa dopo tempi di avanzate impetuose delle forze xenofobe e anti-islamiche, si registra una inversione di tendenza: gli olandesi hanno scelto di fermare il razzismo politico e hanno invece premiato i partiti della sinistra, Partito Socialista e Sinistra verde (che fa un vero e proprio balzo in avanti da 4 a 16 seggi) e una certa stabilità mantenendo la fiducia ai liberali di Rutte.
Un monito per la Francia anche? Probabilmente no. La concentrazione massima è stata su una Olanda da tempo al centro degli osservatori internazionali come elemento cuscinetto tra potenza economica germanica e la Gran Bretagna della Brexit.
La Francia ha altri problemi: Fillon rischia di sparire dalla corsa per l’Eliseo e di aprire un varco pericoloso in cui potrebbe inserirsi Marine Le Pen con la solita retorica, con il consueto invito ai francesi ad essere primatisti di sé stessi.
Se la piccola Olanda è riuscita a sbarrare la strada (per ora) al razzismo e alla xenofobia politica, la grande dolce Francia laica e repubblicana dovrebbe poter fare meglio: non per una questione di larghezza territoriale o di dimensioni demografiche, ma per una semplice ragione legata all’esempio che dal 1789 rappresenta per tutti i popoli d’Europa. Pur tra mille contraddizioni, rimane comunque sempre la nazione più rivoluzionaria che il Vecchio Continente abbia avuto e che abbia cambiato le sorti moderne del mondo.

(m.s.)

foto tratta da Pixabay

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