Qual è la misura del nutrimento? Lo spazio del pegno d’amore concesso alle creature che distinguono ciò che è essenziale dalla ingordigia quotidiana. Le risposte potrebbero essere tante altre; decisive però, su ciò che è fondante, sono le domande suscitate e contenute in Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, l’ultimo libro di Michela Murgia (Mondadori, pp. 144, euro 18).

Una raccolta letteraria di brevi episodi che si leggono come un romanzo impunturato dai temi che da sempre la scrittrice e femminista ha inteso prediligere: quelli che attengono l’umano nella sua complessa qualità di apertura, materiale, quindi situata, e ontologica.

Pubblicato di recente e atteso da chi, con dedizione, ha seguito in questi anni il percorso di Murgia, morta il 10 di agosto e anche in queste pagine ricordata nel bellissimo articolo di Laura Fortini e in quello di Costantino Cossu che ne hanno tratteggiato la caratura intellettuale, tre sono le ciotole in cui, ogni giorno, una delle protagoniste sceglie di riporre il cibo da consumare. In una un pugno di riso, nell’altra carne o pesce, nella terza della verdura. Poco, nella quantità, eppure lo stretto necessario preparato con cura per rifondare sé stesse.

Come una preghiera di protezione che si ripete uguale ogni giorno, una donna ci sollecita sul cortocircuito generato da una separazione, dettagliando il vuoto disamorato la cui allerta è spasmo corporeo. Arriva alla sera e si mischia alla rabbia che, nella radicalità di Michela Murgia, diventa erotica quando caccia fuori il rifiuto di ciò che è scadente, inautentico, mentre escogita piccoli stratagemmi per non essere più espropriata.

Maestra di intrecci e libertà femminile, «partigiana della differenza» – come ha scritto Laura Fortini – Murgia fa il ritratto dello smarrimento contemporaneo di una generazione che passa per una identità franta, «a pezzi» – per riprendere il titolo di un intervento lucidissimo del 2007 – in cui vi sono i semi di ciò che ha tenuto caro negli anni successivi.

Si legge per esempio di una gonna senza orlo che è la Sardegna, di una interruzione che è la stessa frattura della terra, e del dono di saperlo. Di non essere nati interi. Questo sapere è pietra angolare di una coscienza che parte dalla enunciazione di sé; vi è in ogni pagina scritta da Murgia l’eco lonziano dell’«Io dico io», fin dal racconto splendente che è stato Altre madri passando per Accabadora, Ave Mary e God Save the Queer.

Ecco perché in Tre ciotole non stupisce ritrovare l’ordine di una scrittrice che ha assunto, fin dagli esordi, la temperie esatta di un presente che cola a picco che pure deve restare relazionale, foriero di alleanze. Lo aveva spiegato bene anche in Futuro interiore, là dove «futuro» era già qualcosa in fieri e di cui fornire il vivente. Se il futuro rimane la scommessa giocata nel «noi», anche di questo soggetto collettivo Tre ciotole tiene conto, a cominciare da una diagnosi definitiva.

Apre il libro infatti il racconto di una donna che, come ha reso pubblico di sé stessa l’autrice in una intervista di tre mesi fa, viene informata da un medico di un carcinoma renale al quarto stadio.

Alla perentorietà definitoria, la sua rivelazione pubblica ha spalancato un amore tanto grande da cambiare di segno non il dolore ma la narrazione retorica intorno alla malattia. Le metafore astraggono e allontanano, Michela Murgia invece ha scelto la strada della prossimità, di sé e di chi ha desiderato il suo bene.

Alla guerra contro un nemico infatti, ha preferito fare offerta di sé, frontale, ancora una volta. Non per trovare approvazione bensì per ribadire che la violenza attecchisce dove le cose non vengono nominate per ciò che sono; sembra questione semplice eppure ancora ampiamente disattesa. L’esercizio di nominazione è svelamento della realtà anche per un’altra delle protagoniste di Tre ciotole che lavora a casa di un colonnello trasferitosi con la famiglia a Roma ma, da giovane, in stanza per un addestramento in Sardegna.

La contraddizione della «guerra» al Covid fa da contrappunto alla incidenza tumorale, in particolare quella da uranio impoverito. Così come il «servire», nella differenza di classe e di potere, è dipanato da un’affilata memoria subalterna: se per un verso c’è chi crede di essere onnipotente custode delle vite come della salute degli altri, dall’altro c’è chi porta nella propria storia i segni di una lenta ingiustizia coloniale.

I rituali per un anno di crisi sono tuttavia molti, e ogni capitolo ha la potenza di un’umanità sparpagliata e alla deriva, nei suoi lati di ferocia sistemica, come nella scena in cui un gruppo di ragazzi si accanisce sul corpo già esanime di un animale. E ancora della libertà di una ragazza che dispone del proprio piacere, dunque di una parte consistente del bene che deve a sé stessa.

La testimonianza spirituale di Tre ciotole è risonante alla sua autrice che alla seduzione di una parola senza responsabilità né conseguenze ha privilegiato la narrazione di una sacralità intima, dalle ombre di Accabadora che si allungavano in silenzi al passo di Maria e Bonaria in una strada notturna fino a quelle di una bambina che, nello stesso romanzo, studiava le forme rossastre di braci quasi esauste nel soffitto della sua camera.

Presagio o sogno, è luogo simbolico di profonda e dolente grazia che Michela Murgia ha consegnato alla letteratura, dunque al mondo. Lo ha infine restituito attraverso le anime descritte in Tre ciotole, qualcuna con braccia adolescenti fragilissime, altre nel baluginio di insonnia e cartonati per sostituire la partenza di un figlio, c’è poi chi si illude di avere tutto sotto controllo fino ad accorgersi che gli esseri umani non sono piccole riproduzioni in scala.

Le brevi cerimonie sono infine abiti che ci si scambia, e vanno reinventate per chi continuerà a leggere Michela Murgia. Perché, contro l’ingordo sciacallaggio quotidiano che ci vorrebbe pasto nudo e disumanizzato, la misura di quello stretto necessario rimanga di nutrimento. Indispensabile tenerlo a mente, per tutti e tutte. Sia dunque promessa avverata di un amore che circonda. Un giorno dopo l’altro. E continua a proteggere. Ovunque.

ALESSANDRA PIGLIARU

da il manifesto.it

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SCHEDA. BREVI RIFERIMENTI

L’intervento «A pezzi», di Michela Murgia fa parte del volume a più voci «Cartas de logu» (Cuec 2007). Il racconto «Altre madri» è del 2009 e si trova integralmente online, sia scritto che letto da Murgia. Nello stesso anno esce il romanzo «Accabadora» (Einaudi). Sempre per Einaudi sono editi «Ave Mary» (2011), «Futuro interiore» (2016) e «God Save the Queer» (2022).