Libertà di stampa e pluralismo il governo torna all’attacco

I Cinque Stelle hanno ripresentato l’emendamento assassino della libertà di stampa e del pluralismo nell’editoria. Quello che porta in calce la firma del capogruppo Stefano Patuanelli è stato segnalato...

I Cinque Stelle hanno ripresentato l’emendamento assassino della libertà di stampa e del pluralismo nell’editoria. Quello che porta in calce la firma del capogruppo Stefano Patuanelli è stato segnalato in commissione Bilancio al Senato e contiene un testo rimodulato, come già annunciato dal sottosegretario all’editoria Vito Crimi (M5S), rispetto a quello prima presentato, e poi ritirato alla Camera che prevedeva l’abolizione dei contributi pubblici all’editoria dal primo gennaio 2020. Ora il testo prevede nel 2019 un taglio dei contributi diretti ai quotidiani e periodici pari al 20% del fondo calcolato sulla base della differenza tra l’importo spettante e 500 mila euro. Nel 2020 il taglio salirà al 50%, nel 2021 sarà del 75%. L’azzeramento è previsto dal 2022. A partire dal 2020, è prevista inoltre l’abrogazione della legge 230 del 1990 sui contributi alle imprese radiofoniche private che svolgono attività di informazione di interesse generale. Questa norma penalizzerà gravemente Radio Radicale.

Tra i quotidiani nazionali coinvolti ci sono Libero, Avvenire, Italia Oggi, il manifesto, il Foglio. Tra quelli locali ci sono il Roma-Giornale di Napoli, il Corriere di Romagna, la Voce di Rovigo, Cronache Qui Torino, Latina Oggi, Ciociaria Oggi, Il Quotidiano del Sud. Contro il taglio è intervenuto sette volte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, due la presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati. Il presidente della Camera Roberto Fico (M5S) resta in silenzio. Negli ultimi due mesi sono state molto dure le critiche dei sindacati Fnsi e Stampa Romana, dell’ordine dei giornalisti, della federazione della stampa cattolica (Fisc), della Federazione italiana liberi editori (File), dell’Alleanza delle cooperative.

La Lega aveva preso inizialmente le difese del pluralismo nell’informazione.

Ieri Salvini ha cambiato registro e ha attaccato «Avvenire»: «I suoi milioni di contributi potrebbero aiutare un disabile in difficoltà. Chi non vende perché scrive cose strane troverà altri lettori. Penso che la libertà di stampa debba corrispondere alla libertà del mercato e alla fiducia dei lettori».

Una provocazione perché le politiche per la disabilità sono finanziate attraverso il fondo per le politiche sociali, acui il governo destina solo 100 milioni all’anno per i prossimi tre che non recuperano i tagli. È una rappresaglia contro il quotidiano critico con le politiche sull’immigrazione di Salvini. Alla base c’è il pregiudizio liberista per cui l’interesse dei lettori coincida con quello del mercato.

E che se i giornali non vendono significa che i lettori scelgono altri più competitivi. È una falsità, considerato che la crisi delle vendite riguarda tutti, a cominciare dai grandi quotidiani. In questione è il grande, e irrisolto, problema della rete, almeno in Italia.

L’emendamento taglierà 60 milioni di euro circa, mettendo in crisi il lavoro di almeno mille persone, tra giornalisti e poligrafici, senza contare gli indotti, calcolati in diecimila posti di lavoro circa. A questa potenziale crisi sociale si dovrà rimediare con gli enti di categoria e, soprattutto, con le finanze pubbliche. Questo risultato è, per ora, occultato nelle dichiarazioni pubbliche dello stesso ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio, il cui compito dovrebbe essere in teoria quello di tutelare il lavoro e, semmai, provare a crearlo.

Più importante dell’economia materiale è la propaganda ispirata a quella che George Orwell in 1984 chiamava «bispensiero»: la capacità di affermare un fatto e il suo contrario. In questo caso, in nome del pluralismo, si vuole annientare il pluralismo. Al di là di questi paradossi si creerà un nuovo esercito di precari, cassintegrati e disoccupati.

Il presidente della regione Molise Donato Toma ieri ha rinnovato la richiesta di un tavolo di confronto tra le regioni e il governo «per scongiurare il pericolo che molte testate finiscano sul lastrico e siano costrette a chiudere». Contro la chiusura di Radio Radicale è intervenuto Francesco Minisci, presidente dell’associazione nazionale magistrati (Anm): «Auspichiamo che possa proseguire la sua opera di servizio pubblico» ha detto. A dire di Di Maio questo esito sarebbe evitato «dando loro tempo di accelerare l’azione rivolta alla raccolta pubblicitaria». Non emerge, al momento, l’intenzione di riformare il mercato pubblicitario.

Il governo Lega-Cinque Stelle farebbe in questo modo l’interesse dei grandi editori. Come ha ricordato la File nessun grande giornale riceve i contributi. Anzi, a questi soggetti «sempre più in crisi di copie e di inserzionisti fa gola il bacino di pubblicità delle piccole testate». Se il tentativo di cancellare la residuale tutela contro un mercato dominato da oligopoli andrà in porto, il governo favorirà questi grandi gruppi. Si dice populismo, si legge capitalismo.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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