Gaza vicina al baratro di una nuova guerra

Israele/Striscia di Gaza. La tensione tra Israele e Hamas è giunta al limite. Mai come in queste ore è alle porte un nuovo conflitto, a quattro anni dagli oltre duemila morti palestinesi causati da "Margine Protettivo"

Una fragile parete separa la Striscia di Gaza da una nuova offensiva militare ‎israeliana, a quattro anni da quella passata alla storia con il nome di “Margine ‎protettivo” e che fece, considerando i feriti deceduti nei mesi successivi, circa ‎‎2.400 morti oltre a migliaia di feriti e che provocò la distruzione totale o parziale ‎di decine di migliaia di abitazioni, edifici e infrastrutture civili. Da allora Gaza è ‎stata abbandonata dagli occidentali come dagli arabi. Della prigione-Gaza in questi ‎quattro anni i media internazionali hanno parlato solo in occasione di massacri, ‎addossando il più delle volte la responsabilità dell’accaduto ai prigionieri e quasi ‎mai ai carcerieri. Quattro anni dopo “Margine Protettivo” Gaza è giunta ancora al ‎capolinea. Il governo Netanyahu e Hamas sono ad un passo dallo scontro armato, ‎si scambiano ultimatum.

‎ La deterrenza reciproca è riuscita sino a questo momento a frenare le due parti, ‎soprattutto quella israeliana. Il movimento islamico sa che Gaza, sfinita da 12 anni ‎di blocco israeliano, non può sostenere un’altra devastante campagna di ‎bombardamenti. Israele invece teme i lanci da parte di Hamas di razzi e missili, ‎poco dannosi ma capaci di tenere sotto pressione tutta la sua popolazione. Ora ‎però la guerra è a un passo. Al lancio da Gaza dei cosiddetti “palloni incendiari” – ‎preservativi gonfi di elio capaci di volare per alcuni km -, il governo Netanyahu ‎ha reagito, sabato scorso, con i raid aerei più duri dal 2014 (uccisi due adolescenti ‎palestinesi). Poi ha chiuso il valico commerciale di Kerem Shalom. Infine il ‎ministro della difesa Lieberman ha annunciato che impedirà almeno fino a ‎domenica l’ingresso nella Striscia di ‎combustibili e che medicinali e cibo ‎passeranno solo con ‎permessi individuali. I pescatori palestinesi inoltre non ‎potranno superare il limite di ‎pesca di tre miglia nautiche. Immancabile è poi ‎giunto il “contributo” egiziano, con la chiusura improvvisa del valico di Rafah tra ‎Gaza e il Sinai.‎

‎ Misure, anzi una punizione collettiva come spiega anche l’ong israeliana Gisha, ‎alle quali Fawzi Barhum, un portavoce di Hamas, ha reagito intimando‎ la ‎‎«riapertura dei transiti entro 48 ore» altrimenti, ha minacciato, «ci saranno gravi ‎conseguenze». Israele ha lanciato a sua volta un ultimatum: entro 72 ore dovranno ‎cessare i lanci di palloni che provocano incendi nei campi coltivati israeliani. In ‎caso contrario scatterà l’attacco. Netanyahu ieri ha tenuto consultazioni in una base ‎militare vicina a Gaza con Lieberman e il capo di stato maggiore Gady Eisenkot. ‎Al termine ha proclamato che ‎«Le forze armate sono pronte ad ogni sviluppo». La ‎macchina militare è in moto e vanno avanti le manovre nel sud di Israele. ‎Esercitazioni in cui, sottolineano i giornali, viene simulata l’occupazione di Gaza ‎city.

‎ A Gaza cresce la tensione. Gli abitanti tendono ad escludere una nuova guerra, ‎o almeno se lo augurano, però si mettono in coda ai distributori di benzina per fare ‎il pieno in vista di tempi cupi. Chi a un po’ di soldi, e a Gaza sono davvero in ‎pochi, fa provvista di generi di prima necessità. Cresce anche il malumore per ‎come, di fatto, si sta mestamente concludendo la “Marcia del Ritorno” a ridosso ‎delle linee con Israele, in cui sotto il fuoco dei cecchini israeliani sono caduti dal ‎‎30 marzo almeno 139 palestinesi e altre migliaia sono stati feriti. Era partita con ‎grandi manifestazioni popolari che chiedevano di mettere fine all’insopportabile ‎blocco di Gaza. Quindi è stata affiancata e poi di fatto sostituita, per decisione di ‎Hamas, dal lancio dei “palloncini incendiari”. Una mossa che ha spostato il ‎giudizio, già gravemente di parte, dei mezzi d’informazione internazionali ancora ‎di più a favore della narrazione israeliana degli eventi, a svantaggio dei riflettori ‎che la Marcia aveva acceso sulla prigione-Gaza.

‎ Sullo sfondo di questa guerra ormai alle porte c’è il “silenzio” del presidente ‎dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen. Il leader dell’Anp non ha esitato a ‎varare sanzioni contro Gaza allo scopo di penalizzare Hamas. Ha colpito però solo ‎la popolazione senza togliere il controllo di Gaza agli islamisti. Una lotta assurda ‎per un’inutile autorità su Gaza e piccole porzioni di Cisgiodania, le prigioni in cui ‎Abu Mazen e Hamas sono stati rinchiusi dall’occupazione. ‎

MICHELE GIORGIO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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EsteriPalestina e Israele

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