Chiamala Cyber war. Il click che può distruggerci

Oltre il maltempo, il malocchio, il malumore, il malnato, il malinteso, il malvagio, il malessere, il mal di mare, il mal francese, ecc., tutta roba vecchia e nota, ora...

Oltre il maltempo, il malocchio, il malumore, il malnato, il malinteso, il malvagio, il malessere, il mal di mare, il mal francese, ecc., tutta roba vecchia e nota, ora abbiamo anche il malware. Ultima generazione. Da noi si è ufficialmente materializzato, il malware, non più di due mesi fa, addirittura dentro Palazzo Chigi. È la storia apparentemente incredibile dei due fratelli, Giulio e Francesca Occhionero, arrestati il 9 gennaio (e tuttora in carcere) con l’accusa di cyberspionaggio. Mica poco: «Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico, intercettazione illecita di comunicazioni informatiche». E caselle postali di decine e decine di politici hackerate. Tutto attraverso un loro «personale malware denominato Eyepyramid».

State dunque attenti, il malware si aggira. E il malware, come dice la parola stessa, è malevolo, creato appositamente per essere sempre e solo malevolo. È il contrario di software, il programma internet che noi tutti usiamo sul nostro computer.

Attenti. Tradotto, malware significa letteralmente “malicious ware”, virus cattivo. Che non serve solo per infettare – pericolo da cui siamo quotidianamente allertati – ma per molto altro ancora. In sostanza, è un cyber-weapon, cioè un’arma, a suo modo sterminatrice; che può anche assumere diverse facce, tipo spyware, adware, phishing, virus, trojan, worm, rootkit; in italiano chiamato pure “codice maligno”.

Ne circolano, dicono, milioni; adibiti (vedasi la vicenda degli Occhionero) a: disturbare le operazioni svolte da un computer; rubare informazioni sensibili; accedere a sistemi informatici privati; mettere in circolo dati e materiali indesiderati.

Un’arma letale, in una parola. Una specie di arsenale roteante nel cyberspazio, sempre pronto. Click. Sempre pronto ed efficace come una vera bocca di fuoco: dal momento che, ai nostri giorni, si va pure parlando di cyberwar, la guerra informatica prossima ventura. Non tanto una leggenda metropolitana.

Chi se ne intende, ne fa un quadro da catastrofe universale, una specie di iradiddio. Chi se ne intende, ad esempio Richard Clarke, ex-responsabile dell’antiterrorismo digitale per la Casa Bianca.

Il suo nuovo libro, intitolato appunto “Cyber War“, si spende ad informarci come un attacco digitale su vasta scala potrebbe mettere il nostro mondo a terra; e tutto in meno di 15 minuti.

E cioè: con il suddetto attacco digitale i sistemi di comunicazione civili e militari cadrebbero in pochi secondi;le raffinerie e gli oleodotti esploderebbero; i treni deraglierebbero; la distribuzione dell’energia elettrica finirebbe; tutti i dati finanziari andrebbero in tilt; cibo e carburante sarebbero pressoché azzerati. Quindici minuti, e la nostra società avanzata potrebbe diventare un set da film post nucleare. In altre parole, ritornerebbe l’età della pietra (Einstein dixit).

Il mondo distrutto con un click.Va bene, non tutti gli esperti del ramo condividono questavisione nichilista da click. E l’Ocse medesima si è affrettata ad affermare che il Clarke ha forse esagerato; e che il rischio di una cyber guerra non è così alto. O, almeno, non ancora.

Tanto più che, affermano sempre altri esperti del ramo, tipo l’Oxford Internet Institute, le conseguenze di un cyber attack sono a tutt’oggi così imprevedibili, che nessun Paese vorrà fare il primo passo (a suo tempo fu detto anche per la bomba atomica, però…).

Comunque, tanto per non farsi trovare impreparato, Trump si è affrettato a mettere in cima al suo programma un aumento delle spese militari, sopratutto nucleari, così alto, che lui stesso si è permesso di definire “storico”: qualcosa come 54 miliardi di dollari in più per il Pentagono.

Tra l’una o l’altra guerra, caso mai si dovesse scegliere…

MARIA R. CALDERONI

da rifondazione.it

foto tratta da Pixabay

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