Sbalorditiva la notizia di una scuola pubblica romana dove, nella presentazione della medesima, si dividono per “classi sociali” gli alunni nei due plessi che la compongono.
Da una parte i figli della buona borghesia “di ceto medio alto” e dall’altro i proletari e tutti coloro che non sono di nazionalità italiana.
Indecente, immorale, degno di una società veramente torbida nel riconoscere l’esigenza del raggiungimento dell’uguaglianza ad iniziare dal farla gustare ai giovani fin dai loro primi passi nel mondo della conoscenza e della vita sociale.
Ma io trovo sconcertante anche la risposta della ministra Lucia Azzolina che scrive su Twitter: “La scuola dovrebbe sempre operare per favorire l’inclusione. Descrivere e pubblicare la propria popolazione scolastica per censo non ha senso. Mi auguro che l’istituto romano di cui ci racconta oggi @leggoit possa dare motivate ragioni di questa scelta. Che comunque non condivido“.
Ho iniziato a storcere il naso dal “non ha senso“. Mi permetto di dire che ha il sapore di un tiepidissimo eufemismo in quanto a stigmatizzazione dell’inqualificabile fatto.
Ma poi continua e chiede addirittura le “motivate ragioni di questa scelta“.
Signora ministra, non si tratta di una “scelta“, ma di un atto indegno della Repubblica, quindi di una società fondata su una Costituzione che non divide i territori in base alla classe di appartenenza ma quelle differenze di classe – pur vivendo nel capitalismo – cerca di attenuarle partendo dalla forma e arrivando alla sostanza. Per quanto possa fare un testo in linea di principio, ammesso che venga applicato.
Si deve dire che un fatto del genere è al di fuori delle ragioni costituzionali della scuola della Repubblica e che non si tratta di semplice “non condivisione” da parte della ministra.
Due sono, pertanto, i motivi di adombramento: quanto la scuola ha scritto di sé stessa e quanto la ministra ha scritto in merito al caso, all’ennesimo caso di discriminazione e di pregiudizio anti-sociale.
(m.s.)