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America Latina

Bolivia, «blocchi» contro i golpisti. Morales: «Tornerò»

Sono ore di estrema incertezza per la Bolivia. Mentre i blocchi stradali realizzati nelle vie di accesso alla capitale come forma di protesta contro il golpe cominciano a far sentire i loro effetti sul rifornimento di alimenti e combustibili, costringendo il governo de facto a predisporre ponti aerei dal Cile e dal Perù, un accordo tra i golpisti e il Movimiento al Socialismo appare ancora molto lontano.

Cosicché, tra le possibilità allo studio dell’autoproclamata presidente ad interim Jeanine Añez vi sarebbe anche quella di procedere alla convocazione di nuove elezioni e alla conformazione di un nuovo Tribunale supremo elettorale tramite decreto, cioè senza passare per l’Assemblea legislativa controllata dal Mas, il quale pone come condizioni, tra l’altro, il rilascio di salvacondotti per i propri rappresentanti e il ritorno in Bolivia di Evo Morales.

Che l’ex presidente voglia tornare nel paese per finire il suo mandato, che scade il 22 gennaio, rinunciando tuttavia a ricandidarsi alle prossime elezioni, lo ha ripetuto più volte in questi giorni. «Non posso vivere fuori dal mio paese. Sono abituato a stare con la gente come sindacalista e come presidente», ha dichiarato in un’intervista ad al Jazeera, aggiungendo di voler «essere di nuovo a fianco del popolo che sta resistendo contro la dittatura». Ed è probabile che, annunciando la convocazione – definita illegale dal governo de facto – di una nuova sessione dell’Assemblea legislativa, il Mas intenda appunto respingere la richiesta di dimissioni di Morales nel tentativo di annullare per via legislativa il colpo di stato, per quanto all’interno del partito, assicurano fonti locali, vi sarebbe chi preme piuttosto per un accordo su nuove elezioni.

Scende in campo anche il leader del Comitato civico di Santa Cruz Luis Fernando Camacho, il «Bolsonaro boliviano» che ha giocato un ruolo decisivo nella realizzazione del colpo di stato, «esigendo» la designazione di un nuovo Tribunale elettorale, «trasparente e soprattutto imparziale», entro domani e la realizzazione di nuove elezioni entro il 19 gennaio.

Una richiesta nata, ha spiegato, da un accordo raggiunto con altri settori sociali, a partire dalla Central Obrera Boliviana (Cob) e dall’Asociación de Productores de Coca de La Paz, tradizionalmente vicine all’ex presidente. E la stessa trasversale richiesta viene avanzata da quelle voci che, all’interno delle forze popolari, non si sono schierate «né con Evo Morales né con Carlos Mesa»: le voci di movimenti sociali e organizzazioni indigene che avevano già abbandonato la base di appoggio dell’ex presidente, denunciando la repressione dei popoli originari in lotta per l’intangibilità del Tipnis e contro l’agribusiness (nella regione della Chiquitania), lo sfruttamento petrolifero (nell’area protetta di Tariquía) e le grandi dighe (Chepete, Bala, Rositas).

Una rottura del «Patto di unità» a sostegno di Morales tradottasi anche nella scissione all’interno della Cidob (Confederación de Pueblos Indígenas de Bolivia) e della Conamaq (Consejo Nacional de Ayllus y Markas del Qollasuyu) tra un gruppo rimasto fedele al governo e un altro che ne aveva preso le distanze.

E sono proprio la Cidob e il Conamaq ostili a Morales, insieme, tra l’altro, ai coordinamenti delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia (Coica) e della regione andina (Caoi), a firmare un comunicato in cui chiedono la fine delle violenze e «una soluzione pacifica e democratica basata su elezioni libere e trasparenti, con un nuovo e imparziale tribunale elettorale e con osservatori internazionali di tutte le parti politiche».

CLAUDIA FANTI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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