Ancora dissertazioni sulla sinistra

Dopo decenni di testa nascosta sotto la sabbia e di subalternità alla logica di governo liberista la crisi della socialdemocrazia europea è ufficialmente aperta e fa scorrere fiumi d’inchiostro,...

Dopo decenni di testa nascosta sotto la sabbia e di subalternità alla logica di governo liberista la crisi della socialdemocrazia europea è ufficialmente aperta e fa scorrere fiumi d’inchiostro, pioggia di dichiarazioni sui social e scorrere infinito di immagini televisive.

Per prenderne atto compiutamente (dopo gli scricchiolii già ascoltati in altri grandi paesi europei) c’è voluto l’arretramento (nemmeno eccessivo, in verità, stante le condizioni date) dell’SPD in Germania.

A babbo morto (e sepolto) i soliti noti si sono accorti improvvisamente dei danni provocati dal “blairismo” e, Massimo D’Alema al comando, sembrano essersi dimenticati dell’Ulivo Mondiale e di tutto il ciarpame al seguito, con relativa convinta partecipazione al processo di arretramento storico nel quale ci troviamo immersi da decenni.

Si riscopre l’opposizione: scrive Adam Michnik, ex storico oppositore del “socialismo reale” in Polonia: “ Prendiamo l’esempio tedesco. Se un partito socialdemocratico in caduta di consensi va all’opposizione anziché cercare ancora intese con i conservatori, moderati, centristi, questo significa a medio e lungo termine che per gli elettori europei l’alternativa a un governo conservatore moderato non avrà soltanto il volto dei nuovi populisti”.

Rincalza Otto Schily, 85 anni, ministro degli interni per l’SPD dal 1998 al 2005, definito “memoria storica” della Bundesrepublik, a proposito dell’identità della sinistra:

“Tanto per cominciare, non deve svicolare di fronte alle paure su cui si fonda il consenso delle nuove destre. Le prime analisi dimostrano che l’AfD è stata votata soprattutto per la delusione nei confronti delle altre forze politiche. E’ che certi temi non sono stati affrontati a viso aperto. E’ naturale che nascano delle paure se alcune zone della tua città cominciano ad apparirti estranee”.

Valutazioni che sfuggono al nodo vero della questione che può essere così lapidariamente riassunto: “12,5 degli 80 milioni di tedeschi si trovano sotto la soglia di povertà relativa, guadagnano meno del 60% del reddito medio” (dall’intervento di Birgit Mahnkoff al meeting di Torino su “G7 e Industria 4.0” svoltosi a Torino).

Questi dati si riferiscono alla “ricca” Germania, figuriamoci se tentiamo di addentrarci nei meandri della situazione concreta dei paesi del sud Europa e di quelli dell’Est nei quali si coltivano i germi che alimentano la spinta della rampante destra europea.

Appare evidente insomma che la sinistra non ha semplicemente bisogno di ricercare una nuova identità ,ma ha necessità urgente di ricostruire una nuova soggettività politica considerate le macerie lasciate sia dalla storia dell’inveramento statuale tentato dai fraintendimenti marxiani del ‘900, sia dalla logica di governo esercitata dalla socialdemocrazia europea negli anni della transizione apertasi all’inizio del secolo XXI.

In testa alle priorità sulle quali ricostruire una soggettività politica identitaria deve esserci una seria e razionale valutazione della fase nella quale ci troviamo.

Condivido la visione di Susan Watkins, direttrice della New Left Rewiew “ Una crisi di civiltà travolgerà il liberalismo cosmopolita del secolo scorso. Una protesta che va in diverse direzioni, ma con una motivazione di fondo: I poveri votano per chi promette di stare dalla loro parte”.

Questo è il punto sul quale ci dobbiamo attrezzare.

Partendo da queste considerazioni.

Negli ultimi 25 anni il governo del mondo ha compiuto un trasferimento di ricchezza senza precedenti dal lavoro al capitale.

C’è però una novità rispetto alle precedenti crisi innestate da analoghi fenomeni già verificatisi in passato: ad esempio a differenza del periodo della Grande Depressione, infatti, questa volta non ne ha sofferto il capitale.

Ne ha sofferto esclusivamente il lavoro e di conseguenza i lavoratori (su questo il riemergere, tante volte segnalato ma sempre ignorato, della centralità della “contraddizione principale”).

Inoltre siamo di fronte davvero un “governo del mondo”: cioè a una formidabile concentrazione di potere che non risponde democraticamente: BCE, Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale, agenzie di rating, grandi banche globali, tutti poteri nominati e non votati.

Si pone quindi preliminarmente un problema di democrazia, economia e sovranità che potrà essere affrontato soltanto da un nuovo movimento di opposizione rivolto “contro” al meccanismo di trasferimento di ricchezza cui si accennava in precedenza.

Si tratta di porre nuovamente il dilemma tra democrazia e capitalismo; dicendo chiaro che i due elementi sono incompatibili.

Per adesso la scelta è stata più capitalismo e meno democrazia (come è avvenuto in Italia allorquando si è tentato di manomettere la Costituzione).

Nel frattempo è cambiato anche l’asse di riferimento politico, da punto di vista del governo: le coalizioni di centrosinistra si sono progressivamente trasformate nell’altra faccia di quelle di centrodestra con posizioni e programmi sempre più simili ideologicamente (ciò è avvenuto, tra l’altro, tra grandi proclamazioni di “fine delle ideologie”. Quest’ultima affermazione non è altro che una vera e propria insopportabile menzogna).

All’epoca fu lanciato il progetto della cosiddetta “Terza Via” che alla fine risultò un progetto di pura e semplice difesa e conservazione dell’élite.

In realtà oggi non esiste scontro politico (come ha dimostrato del resto l’elezione di Macron in Francia) : la contesa è tutta interna al modello che, per semplificazione pur coscienti dell’inesattezza della definizione, continuiamo a nominare come “neo – liberismo” sulla scorta dell’appellativo coniato al tempo dell’alleanza Reagan – Tachter.

Il computo finale di questa fase può essere facilmente riassunto come meno democrazia e più disuguaglianza, con i riflessi che si determinano laddove è maggiore la povertà e più forti sfruttamento e abbandono.

Tutte cose semplici, apparentemente ben visibili e analizzabili, ma difficili da trasformare in una base politica per una necessaria nuova soggettività.

Per questi motivi, restando in Italia, non possiamo attardarci sull’interrogativo: “ se si può essere anticomunisti e restare di sinistra?”.

Un quesito fuorviante, nel momento in cui appare acclarata l’esigenza ineludibile di opporci al capitalismo nelle sue forme attuale, progettandone nuove vie di fuoriuscita a livello internazionale.

Il nodo della soggettività politica, però, come indica Noam Chomsky nel suo ultimo saggio, è come sempre quello del sapere, e del ruolo degli intellettuali.

In Italia ci si sta muovendo, invece, sul terreno minato dell’elettoralismo e della (inutile e un poco ridicola) contesa sulla leadership come stucchevolmente viene riferito ogni giorno dai mezzi di comunicazione di massa che riferiscono davvero di preoccupanti improvvisazioni mandate a conoscenza pubblica, senza alcuna idea di ricostituire una “sede pensante”.

Forse sarebbe il caso di analizzare meglio la situazione, trarne le dovute considerazione comprendendo che questo è il momento di organizzarci “contro” per l’opposizione e non per il governo.

La questione elettorale deve essere affrontata assolutamente nell’ottica di designazione per un’eventuale rappresentanza istituzionale riferita all’emergente stridore delle contraddizioni sociali e delle imposizioni che queste pongono a precisi settori della società, impoveriti e sfruttati.

Ciò che è sicuro è che l’idea di ricostituire il centrosinistra è del tutto balzana essendo assente la sinistra e molto spostato (a destra) il cosiddetto “centro”.

Concludo citando ancora Susan Watkins: “Questa crisi non si risolverà in pochi anni. Ma abbiamo due certezze: il fallimento del sistema vigente è palpabile e il Ventunesimo secolo non sarà una ripetizione del Ventesimo”.

FRANCO ASTENGO

30 settembre 2017

foto tratta da Pixabay

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