«Andata, caduta e ritorno» recita il sottotitolo dell’autobiografia di Francesco Nuti, pubblicata nel 2011. Poche parole che ben riassumono l’andamento della vita e della carriera dell’attore, regista e sceneggiatore toscano morto ieri a 68 anni.

Figlio di un barbiere del Mugello e di una casalinga calabrese, per Nuti tutto è iniziato con il trio comico i Giancattivi. Si unisce a loro nel 1978, ancora giovanissimo, per sostituire Antonio Catalano. Prima di allora scriveva monologhi nel tempo libero che riusciva a ritagliarsi dal lavoro in una fabbrica tessile di Prato. Il gruppo, composto da Alessandro Benvenuti e Athina Cenci, è già affermato e partecipa a diverse trasmissioni come la radiofonica Black Out e la televisiva Non stop.

Prosegue anche l’attività di spettacolo in tournée per i teatri, con le produzioni di L’isola di ieri (1979), Smalto per unghie (1979) e Business is business (1980). Il trio in questi anni gioca molto con una gergale parlata toscana, e quella del dialetto sarà sempre una delle chiavi della poetica di Nuti, che negli anni seguenti entrerà in diretta «concorrenza» con un altro «comico» fortemente legato all’ironia e alla saggezza degli idiomi locali: Massimo Troisi.

Prima però Nuti realizza un ultimo lavoro con i Giancattivi, il film Ad ovest di Paperino (1981) – Paperino è una frazione di Prato – diretto da Alessandro Benvenuti, dove si condensava molto del repertorio storico del gruppo. Terminate le riprese, Nuti decide di intraprendere la sua strada e recita in tre film di Maurizio Ponzi rimasti nell’immaginario collettivo: Madonna che silenzio c’è stasera (1982), Io, Chiara e lo Scuro (1983) e Son contento (1983). Con il secondo, grazie al ruolo di Francesco Piccioli, si aggiudica il David di Donatello e il Nastro d’argento come migliore attore protagonista.

Questi successi lo spingono a intraprendere un passo decisivo e a mettersi anche dietro la macchina da presa con Casablanca, Casablanca (1985). Seguito della vicenda di Io, Chiara e lo Scuro, che Nuti aveva co-sceneggiato, anche stavolta il film si svolge nel mondo dei giocatori di biliardo, una vera passione per Nuti ma persino una metafora della vita nella sua avventura cinematografica – la riprenderà anche ne Il signor Quindicipalle (1998).

Seguono altre commedie di successo, che dirige e interpreta: Tutta colpa del paradiso (1985), Stregati (1986), Caruso Pascoski (di padre polacco) (1988). Nell’88 si concede anche un détour musicale, partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Sarà per te, in seguito ripresa anche da Mina.

Verso la metà dei ’90 però qualcosa si inceppa. Nuti prova a smarcarsi dal filone che lo aveva reso famoso con OcchioPinocchio (1994), film intimista dai tratti autobiografici, con magniloquenti interni felliniani ricostruiti a Cinecittà per mettere in piedi il sogno del «paese dei balocchi». Ma la produzione è travagliata. La Penta (di Cecchi Gori e Berlusconi, la morte di quest’ultimo, avvenuta lo stesso giorno di Nuti, oscura inevitabilmente quella del toscano) lo finanzia inizialmente con 13 miliardi di lire.

Le spese però lievitano, Cecchi Gori non è soddisfatto e sembra che Nuti abbia persino rinunciato al proprio compenso per portare il film a casa, che si rivelerà però un vero flop al botteghino. Entra quindi in una spirale di alcolismo e depressione, tenta il suicidio, fino al terribile incidente del 2006.

L’attore cade da una scala in casa sua, entra in coma per un ematoma cranico, poi si risveglia ma gli sarà impossibile parlare e rimarrà bloccato su una sedia a rotelle. Negli ultimi anni lo ha spesso affiancato il fratello Giovanni, con il compito di ridargli la voce che non aveva. Resta comunque un tristissimo epilogo, fino alla morte di ieri, per una figura che aveva fatto ridere il Paese con intelligenza e talento.

LUCREZIA ERCOLANI

da il manifesto.it

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