Nei mercatini di vinile usato, si possono trovare due album a 33 giri della Fonit Cetra (ristampati più volte) dove Eduardo De Filippo legge le sue poesie, con voce chiara e partecipata. E questi versi sono stati musicati più volte nel corso degli anni, da Giacomo Rondinella a Sergio Bruni fino ai recentissimi Nu Guinea con Je vulesse, trasformata con le sonorità rock-jazz anni ’70, preferite dall’ensemble.

Una cantautrice milanese, Patrizia Cirulli, specializzata nell’adattare liriche di poeti al pentagramma (nel suo disco Mille baci si era misurata con Quasimodo, Catullo e altri), plurisegnalata finalista del Premio Tenco e vincitrice del Premio Lunezia, ha pubblicato da poco Fantasia, le poesie di Eduardo in musica (per Squilibri, cd + libretto con i dipinti di Beppe Stasi e una presentazione di Pasquale Scialò), un omaggio al grandissimo uomo di cultura del secolo scorso (preparato con l’approvazione del figlio Luca e degli eredi).

Dieci brani intriganti dove il timbro e il colore della voce solista aggiungono spessore alle parole, alle volute della musica, ai ghirigori degli arrangiamenti creati in collaborazione con un organico da camera, in bilico tra antico e contemporaneo, composto da un gruppo di valorosi strumentisti dove spiccano le chitarre di Marcello Peghin e la mandola di Mauro Palmas accompagnate da archi (violino, viola, contrabbasso) e percussioni.

Patrizia Cirulli ha tagliato un vestito adatto a ogni brano, accostandosi sempre con equilibrio e garbo alla materia poetica originale (scritta tra gli anni ’20 e il ’50), evitando di accelerare su ritornelli melodici o strofe in rima, scegliendo ogni volta con grande varietà stilistica dall’atmosfera allegra di Penziere meje al sound inebriante di L’ammore ched’è (col cantante Dario Sansone dei Foja) e persino alle suggestioni medioevali di ‘E mmargarite o a quelle più sentimentali di E’ notte.

Che l’operazione affettuosa sia completamente riuscita, lo dimostrano Io vulesse truvà pace, una delle liriche più note rivoltata in una specie di madrigale, in una sorta di onirica litania (col sostegno di Fausta Vetere) di tranquilla filosofia popolare. Ancora meglio enunciata in Relogio compiacente (Fantasia) ritmica vivace scandita dal mandolino e canto assai misurato per quello sguardo sorridente sull’umanità, «Pigliammoce sta vita comme vene/llassammo for’’a porta ‘a pucundria/mparammece a campà c’a fantasia/nce sta cosa cchiù bella pè campa?».

FLAVIANO DE LUCA

da il manifesto.it

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