Se il Papa è andato via…

Cantavano per le vie di Roma nel 1849: “Se il Papa è andato via, buon viaggio e così sia, buon viaggio e così sia! Non morirem d’affanno perché fuggì...
Statua di San Pietro nella Chiesa di San Paolo fuori le mura in Roma

Cantavano per le vie di Roma nel 1849: “Se il Papa è andato via, buon viaggio e così sia, buon viaggio e così sia! Non morirem d’affanno perché fuggì un tiranno, perché si ruppe il canapo che ci legava il piè!”. La Roma di Saffi, Mazzini e Armellini e di quel tal Mastai Ferretti che aveva già abbandonato la causa italiana alla sua disgrazia e, dopo la morte di Pellegrino Rossi, era fuggito vestito da semplice prete in carrozza nel Regno della Due Sicilie, sotto la protazione del Re Bomba a Gaeta. Altri tempi… Ma Pio IX non aveva abdicato, non si era dimesso. Anzi, aveva scomunicato la Repubblica Romana appena costituitasi e tutti coloro che avevano votato l’Assemblea Costituente. Oggi invece, dopo secoli, un papa torna a dimettersi. Erano seicento anni che non accadeva, ma Joseph Ratzinger ha deciso che le sue forze non gli consentivano più di proseguire il cammino di vescovo di Roma e pontefice della Chiesa cattolica e così ha annunciato nella solennità della lingua latina (la lingua ufficiale della Città del Vaticano) che lascerà il soglio di San Pietro. Lo farà il 28 febbraio. Alle ore 20.00 di quel giorno inizierà la rinnovata liturgia della “Apostolica Sede vacans” e prenderà ufficialmente le redini del trono e dell’altare la figura del Camerlengo.
Fin qui la ritualità. Certo sarebbe superficiale affermare che, tutto sommato, questa decisione di Benedetto XVI è inifluente per il panorama sociale, politico e culturale dell’intera Italia, dell’Europa e anche un po’ più in là. Sarebbe superficiale non gettare anche l’ombra del dubbio sulle reali motivazioni che possono aver spinto Ratzinger a questo gesto che sta nei dettami del diritto canonico, ma che, obiettivamente, rompe una tradizione plurisecolare di abbandono della sede pontificia con la naturalità della morte del suo capo.
Nemmeno Giovanni Paolo II, malato e costretto persino a non riuscire più a pronunciare parola all’Angelus poco prima della sua morte, scelse di dimettersi.
Voci della Curia romana dicono che in realtà il papa polacco avrebbe voluto, ma evidentemente gli “inviti” dei cardinali e dei suoi più stretti collaboratori lo dissuasero dal seguire questa strada.
L’Italia vive un momento politico di incertezza, di instabilità: le elezioni politiche sono alle porte e, come un fulmine a ciel sereno, viene la notizia delle dimissioni papali. Non c’è un complotto per destabilizzare ulteriormente lo scalcinato quadro della politica nazionale, questa campagna elettorale fatta più di schermaglie, insulti, aperture di armadi e rovistamento negli scheletri che vi si trovano… Forse è vero che Ratzinger non sta troppo bene, che il peso dei suoi anni si fa sentire, che lui non riesce più a tenere testa a quello che, lo si voglia o meno, è comunque il ruolo di un capo di stato, di un rappresentante politico cui si aggiunge la primaria funzione di guida suprema religiosa per tutti i cattolici.
Ratzinger è il papa della svolta non tanto conservatrice rispetto a Wojtila, quanto della conferma di quella politica pontificia, aperta ai giovani, anche sociale, ma con uno sguardo rivolto alle radici della Chiesa, ai suoi riti anche.
La prima eclatante parola che risuonò otto anni fa, all’indomani dell’elezione di Benedetto XVI, fu “relativismo”. La promessa era di battersi contro ogni fenomeno culturale che avesse messo in discussione l’autorità della Chiesa cattolica in tema di etica, morale, socialità e vita.
Ratzinger si dimette. Si dimette subito dopo le elezioni politiche italiane. Un gesto di cortesia? Può darsi. O forse piuttosto la scelta di una tempistica che consenta al suo successore di prendere direttamente contatto con il nuovo governo seduta stante per esprimere senza alcun indugio la nuova – sempre che nuova sia – via che il Vaticano intenderà intraprendere.
Il teologo tedesco, l’uomo che in gioventù era stato anche nella guardia hitleriana, il fine scrittore di libri su Cristo, se ne va dunque. Ma non si ritira dalla centralità della vita pubblica romana: rimarrà in San Pietro.
La notizia che a poco a poco prende forma, scuote e non poco il mondo cattolico e anche quello laico.
C’è una via di mezzo tra chi vorrebbe cancellare il Vaticano dalla faccia della terra e chi vorrebbe Don Andrea Gallo papa… Quest’ultima sarebbe senza alcun dubbio una splendida notizia, ma sarebbe la fine di una Chiesa intesa come potere e non come congregazione di fedeli.
Sarebbe come se oltre Tevere auspicassero segretario del PD un comunista… ma sarebbe mai possibile? Tuttavia la speranza di un impostazione meno severa, meno teologizzante, meno imperativa e più rivolta al futuro e alle necessità di ogni essere umano nella coniugazione di fede e diritti civili, deve essere coltivata e deve essere richiamata a gran voce.
Purtroppo il cardinale Martini non ce l’ha fatta a vedere questo momento, questo straordinario evento che sono le dimissioni di un papa. Nemmeno la morte. Le dimissioni che da sei secoli non venivano date. Sarebbe stato un papa “progressista”? Avrebbe dato vita ad un Concilio Vaticano III per rinnovare ulteriormente la Chiesa dopo Giovanni XXIII e Paolo VI?
Dubbi degni di una trasmissione televisiva avvolta dal mistero, perché sono dubbi insolvibili. Quel che sembra abbastanza certo è che una figura come il cardinale Bagnasco non sarebbe di apertura verso la civiltà dei diritti e i diritti della civiltà.
Se il papato e la Chiesa cattolica non rappresentassero oggi quello che hanno rappresentato per millenni, potremmo anche tralasciare questi discorsi: ma dall’impostazione culturale ed etica della Curia romana dipendono (purtroppo) le opinioni di milioni di persone che accettano direttamente o in parte l’opinione del pontefice come regola di vita, come regola se non altro da seguire poichè la maggioranza la segue.
Il potere temporale e quello spirituale sono forse la più straordinaria invenzione simbiotica mai vista: si tengono insieme ordini politici e ordini morali, disciplina della mente e del cuore, inficiando spesso quelle che invece per il laico dovrebbero essere le guida più alte. Le leggi e la Costituzione di una Repubblica che non è mai veramente stata indipendente dall’influenza del Vaticano.
La Democrazia Cristiana ad un certo punto, anche se crollata sotto i colpi di Tangentopoli, ha finito per non essere più funzionale all’influenza clericale sulla società italiana. Giovanni Paolo II è stato più utile alla Chiesa di qualunque partito strutturato per coniugare interessi americani e interessi vaticani in Italia.
Ratzinger questo lo sapeva benissimo. La sua collaborazione con il predecessore polacco era stata piena: Wojtila stesso lo aveva voluto accanto a sè come Prefetto della Congregazione della Fede. Un’altissima carica che ricoprono solamente quei cardinali che hanno la totale fiducia del successore di Pietro.
Il destino dei diritti civili non dipende certo solamente dal nuovo pontefice. Ma di certo una Chiesa dialogante sarebbe più utile alla reciproca comprensione. Una Chiesa che concepisca il dubbio del laico, dell’agnostico e l’impossibilità dell’ateo di percepire un dio, ebbene sarebbe una Chiesa che avrebbe molta più fiducia di quella che oggi nutre presso un vasto popolo che la considera nemica.
L’indifferenza verso queste problematiche è la vera nemica per un laico che ha a cuore i diritti civili e la coniugazione dei medesimi con i principi del credente.
Un omosessuale, un transgender, un bisessuale possono essere credenti e cattolici. Non c’è nulla da rimproverare a sé stessi se si è magari anche di sinistra, comunisti e si è credenti. Le dicotomie, le divisioni draconiane e il manicheismo sono atteggiamenti intolleranti, che contrastano con la capacità che deve avere un progressista di creare sempre maggiore armonia nel genere umano, senza dimentare che esistono delle differenze, ma che sono ascrivibili ad un altro livello.
Noi comunisti dobbiamo essere i primi a riconoscerci questa capacità di non dimenticare mai il fine per cui siamo comunisti, ossia il superamento della società del profitto e dello sfruttamento, senza per questo entrare in conflitto con una evoluzione della persona umana, della società che possa contemplare un giorno sempre meno muri, sempre più percorsi e intersezioni.
Poi ognuno sceglierà su quale sentiero camminare. Intanto, nell’attesa di sapere chi succederà a Joseph Ratzinger, continuamo la nostra campagna elettorale per la Rivoluzione Civile in Italia.

MARCO SFERINI

12 febbraio 2013

foto tratta da Pixabay

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