Quel PD di sinistra di Orfini che non esiste

Mi è capitato ieri sera di ascoltare le parole del presidente del Partito democratico, Matteo Orfini, intervistato dal direttore di Rai News 24 Monica Maggioni alla Festa de l’Unità...

Mi è capitato ieri sera di ascoltare le parole del presidente del Partito democratico, Matteo Orfini, intervistato dal direttore di Rai News 24 Monica Maggioni alla Festa de l’Unità di Pesaro. Sostiene Orfini che il PD non è ancora all’altezza di soddisfare le esigenze di quel 41% di elettori che lo hanno preferito ad altre forze politiche alle ultime elezioni europee.
Sostiene sempre Orfini che il PD raccoglie una vastità di culture ed interessi che comunque non esauriscono la sinistra italiana e nemmeno le forze del centro.
E, affermando che le idee si cambiano da molte parti, da chi come lui era contro Renzi e da chi come Renzi era contro la “sinistra” del suo stesso partito, ammette che il presidente del Consiglio si è “spostato più a sinistra” nel ridisegnare la mappa delle riforme sociali, abbracciando così le richieste che vengono dall’Europa. In pratica dando un colpo al cerchio e uno alla botte: provando a migliorare la sorte quotidiana delle persone più indigenti e provando, parimenti, a non creare insoddisfazione negli ambiti del mercato transnazionale.
Analisi e tesi che sono, a ben vedere, tutte e due un autoconvincimento che il partito di cui Orfini è presidente sia veramente della famiglia della “sinistra” in Europa: socialista, democratico e cattolico. Centrosinistra.
Un centrosinistra che in Italia non esiste più da tempo e che qualcuno pensa di poter ancora risollevare, resuscitare e ricomporre mettendo insieme i pezzi di sostegno che non fanno mistero di richiamarsi apertamente al socialismo europeo, come “Libertà e democrazia” di Gennaro Migliore e Claudio Fava.
Ma queste stampelline di pseudo sinistra non servono a cambiare il pacchetto di riforme che Renzi sta portando avanti in queste ore: dalla scuola al lavoro, dalle pensioni ai precari, per non parlare delle mosse dell’escutivo in politica estera.
Basterebbero le mosse di queste settimane per sconfiggere in poche parole le tesi di Orfini che prevede per il PD un percorso di recupero a sinistra sempre maggiore e sempre più sicuro.
Tutto sta ad intendersi su cosa non tanto si intenda, ma su cosa sia la sinistra. Se la sinistra è ancora “uguaglianza” e “giustizia sociale”, allora il Partito democratico di Renzi è quanto di più lontano possa esservi da queste due parole che sono l’espressione di pietre angolari di un ambito politico e sociale un tempo ben definito e sentito da chi diceva di essere, appunto, “di sinistra”.
La riforma della scuola è tutta incentrata sulla meritocrazia che vincola gli scatti salariali, sull’aumento delle ore di lavoro degli insegnanti, sulla riconferma e il rafforzamento della figura del preside come manager aziendale degli istituti e sull’introduzione obbligatoria degli stage nelle aziende per i giovani degli istituti tecnici.
Nessuna sorpresa, tutto rientra nei disegni di una scuola perfettamente inserita nelle logiche del mercato: l’istruzione come metodo di introduzione alla logica del capitalismo e del “self made man” all’americana. L’istruzione in quanto tale, finalizzata al miglioramento delle condizioni sociali è una chimera…
Lo chiamano “patto educativo”, ed è invece la destrutturazione dei diritti degli insegnanti che vedono abolito il contratto nazionale di lavoro e di quelli del personale scolastico la cui carriera in base agli anni di anzianità viene cancellata d’un botto.
Per avere più salario bisognerà lavorare più ore e questo escluderà dall’accesso alle cattedre proprio quei precari che Renzi sbandiera di voler stabilizzare e assumere.
Per assumere i famosi 150.000 precari serviranno 3 miliardi di euro. Dove il governo abbia la capacità di reperire queste risorse è ancora un mistero, visto che proprio in queste ore mancano i fondi per aumentare gli stipendi della pubblica amministrazione e il blocco è confermato fino al 2015.
Poi resta il mistero degli insegnanti considerati “precari” ma che, avendo insegnato per un monte di ore inferiore a quello stabilito per essere definiti tali, più che precari saranno “indistinti”, senza una classificazione precisa e quindi esclusi da qualunque stabilizzazione e rientro nel posto di lavoro. Si tratta di quasi 93.000 persone, ma di loro non si parla. Fa più effetto la bandiera dei 150.000 precari da stabilizzare, senza ben sapere come, quando e dove.
Questa sarebbe la svolta a sinistra di Renzi che viene sottolineata da Orfini alla festa di Pesaro? Invece di puntare sulla riduzione dei tempi di lavoro e sull’assunzione di più personale, si punta sull’aumento del monte ore e su una scuola piegata alle esigenze del mercato e delle imprese.
Questa non è una svolta a sinistra, ma l’ennesima torsione a destra di un sistema scolastico già provato dalle controriforme del ministro Gelmini. Continuità o meno che si possa definire tale, di sicuro non siamo davanti ad un progetto di discontinuità.
Fa parte della politica di “marketing” di Renzi che, in stile berlusconiano, celebra i suoi finti successi con le battute del caso e prova a mostrarsi attendibile, rispettabile e credibile.
I numeri lo smentiscono; ma i numeri stanno dietro le quinte dei proclami di governo e ancora più dietro le quinte di una informazione che accondiscende ad ogni politica governativa. Sotto il regime berlusconiano tutto questo era fatto con maniere più grezze e brutali.
Sotto il governo del grande Partito democratico del 41% di Renzi, telegiornali e radio, siti Internet e quant’altro veicolano la propaganda renziana mostrandola come il possibile che da Palazzo Chigi si sta facendo per migliorare le condizioni di crisi del Paese.
L’illusione durerà mille giorni ancora? E’ possibile. Ma i fatti e i numeri hanno la testa dura e prima o poi sconfiggeranno i valzer di battute e di parole dell’ex sindaco di Firenze.

MARCO SFERINI

4 settembre 2014

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