Perchè una no-fly zone non risolverà la crisi di Aleppo

La proposta avanzata di abbattere gli aerei russi e siriani nella zona orientale di Aleppo nel tentativo di far cessare il bombardamento di questa parte della città è completamente...

La proposta avanzata di abbattere gli aerei russi e siriani nella zona orientale di Aleppo nel tentativo di far cessare il bombardamento di questa parte della città è completamente irrealistica. L’Occidente non rischierà una guerra contro una potenza nucleare ed il suo alleato siriano per aiutare i 250000/275000 civili intrappolati là. Fingere di crederlo è vuota magniloquenza distaccata dalla realtà. Il pericolo di questi folli schemi è che distolgono l’attenzione da idee più realistiche per risparmiare agli assediati ulteriori sofferenze e morti.

La realtà è che Aleppo, un tempo cuore industriale della Siria, sin dal 2012 è stata spaccata in due tra il Governo ad occidente ed i ribelli ad oriente. Nel corso di quest’anno l’esercito siriano e le forze paramilitari sciite irachene, iraniane e libanesi hanno circondato Aleppo orientale dove i bombardamenti e gli attacchi aerei russi e siriani stanno mandando tutto in rovina. Gli ospedali ed i centri di assistenza sanitaria sono sistematicamente distrutti. Il blocco economico impedisce ai convogli di  aiuti umanitari delle Nazioni Unite di oltrepassare i posti di blocco governativi. E’ quasi impossibile cucinare quel poco che c’è perché mancano le bombole di gas e cherosene. In luglio, per prima cosa, Aleppo orientale è stata  completamente circondata dalle forze pro-governative che hanno interrotto, nel nord della città, la cosiddetta strada Castello, ultimo collegamento verso occidente delle aree ribelli. La principale arteria per i rifornimenti, la strada che va da Aleppo orientale verso la Turchia, era stata interrotta in febbraio. In agosto una breve controffensiva ribelle ha sfondato le linee di assedio in via Ramoiseh nel sud di Aleppo ma alla fine l’esercito siriano ed i suoi alleati lo hanno imposto nuovamente , in settembre. E’ improbabile che l’accerchiamento possa essere interrotto militarmente. L’ultimo tentativo costò ai ribelli attorno alle 500 perdite. La lezione impartita da tutti i tanti attacchi avvenuti in Siria ed Iraq nell’ultimo anno (Daraya a Damasco, al-Waer ad Homs, Ramadi e Falluja in Iraq) è che la fanteria leggera ribelle non ha alcuna possibilità, a lungo termine, contro i pesanti attacchi aerei controllati da terra.

Le Nazioni Unite stimano che ci siano circa 8000 combattenti ribelli ad Aleppo, 900 dei quali membri di Fatah al-Sham, precedentemente l’affiliato ad al-Qaeda Jabhat al-Nusra. Riescono ad infliggere pesanti perdite alle forze pro governative nelle battaglie di strada solo se combattono fino allo stremo, ma alla fine perderanno a meno che in Siria  non cambi l’equilibrio militare attraverso un intervento più efficace, per terra e per aria, delle forze esterne coinvolte nel conflitto. Il presidente Bashar el-Assad ha chiarito che non allenterà la stretta su Aleppo orientale dicendo che continuerà a combattere ” contro i ribelli fin quando non lasceranno Aleppo. Devono. Non c’è altra opzione”. E’ improbabile che qualcuno lo fermi.

L’inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria, Staffan de Mistura, ha proposto un’evacuazione di massa di combattenti e civili verso la provincia di Idlib, in mano ai ribelli. Dice di essere “pronto fisicamente ad accompagnarvi”. Il governo siriano dice di essere disposto a lasciare un passaggio sicuro ma non è facile come sembra perchè nei ribelli manca completamente la fiducia nelle rassicurazioni di Damasco che saranno al riparo, adesso e nel futuro, dalla polizia segreta Mukharabat. Le Nazioni Unite dicono che la metà dei civili di Aleppo orientale è pronta a partire da subito ma rimane una comprensibile diffidenza.

Due anni fa durante l’assedio alla Vecchia Città di Homs, che sotto molti aspetti ricorda l’assedio di Aleppo di questi giorni, parlai con un uomo di mezza età che era stato chiaramente dalla parte dei ribelli e del quale due figli erano dispersi. Lui era libero e viveva con altri dislocati in una scuola di Homs ma non poteva andare a Damasco perchè sospettava, giustamente, che lui stesso, ultimo maschio adulto della famiglia, sarebbe stato arrestato lungo la strada e carcerato per un periodo di tempo indefinito. Io dissi che supponevo che tutti gli uomini in età militare fossero a rischio. Rise in modo cupo e replicò ” Siamo tutti a rischio, ognuno di noi”.

Questa paura delle forze di sicurezza siriane è il motivo principale per cui i civili e gli altri non vogliono andarsene. Gli altri motivi sono il pericolo vero e proprio di uscire  per strada per andare via e l’attitudine dei combattenti ribelli. Nella maggior parte delle zone in mano ai ribelli in Siria ed in Iraq i ribelli di qualunque genere non vogliono che i civili partano perchè funzionano da scudi umani. In alcuni casi viene loro impedito di andarsene con la forza e quelli che si liberano devono pagare pesanti mazzette, come è accaduto a Mosul e Raqqa negli ultimi mesi. Un ritiro organizzato da Aleppo orientale sotto l’egida delle Nazioni Unite sarebbe l’opzione migliore per i civili rimasti lì ma il crollo della tregua russo-statunitense ci dimostra quanto sarebbe difficile da organizzare.

Ci sono scenari alternativi se non vere soluzioni? In Siria di solito ce ne sono perchè ci sono cosi tanti giocatori all’interno ed all’esterno del Paese tutti che ipocritamente dichiarano di agire nell’interesse dei siriani ma che, invariabilmente, mirano per prima, seconda e terza cosa al loro. E’ difficile capire da dove arriverà una forza esterna che voglia interrompere l’assedio. Il presidente Recep Tayyp Erdogan, di solito cosi aggressivo per conto dei ribelli siriani, è stato sorprendentemente muto riguardo al destino di Aleppo. Probabilmente perché più preoccupato dalla minaccia dei curdi siriani ed impegnato a promuovere buone relazioni col presidente Putin, col quale ha appena firmato un accordo sul gas.

Un ulteriore aspetto della crisi siriana è tendenzialmente sottovalutato dall’Occidente che è ossessionato dall’intervento russo. Le comunità iraniane e sciite in Iraq ed in Libano vedono nella lotta per la Siria la lotta per la loro stessa esistenza. Forniscono molti dei combattenti che attaccano Aleppo orientale e non si arrenderanno fino alla vittoria.

PATRICK COCKBURN
autore di L’ascesa dello Stato Islamico / Vai all’articolo originale

traduzione di Stefania Martini – Brigata traduttori

foto tratta da Pixabay

 

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EsteriSiria e Libano

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