PaP e Rifondazione. Possiamo detestarci cordialmente

La lettera che il Segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo ha inviato a Viola Carofalo e Giorgio Cremaschi di “Potere al popolo!” può anche essere un atto valutabile come burocratico, relegato...

La lettera che il Segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo ha inviato a Viola Carofalo e Giorgio Cremaschi di “Potere al popolo!” può anche essere un atto valutabile come burocratico, relegato nell’angolo da anatemi che veramente rasentano il peggiore populismo in quanto ad insulti e stigmi, però va anche detto che la decisione dei destinatari di renderla pubblica non aiuta quel dialogo che nella lettera medesima si cerca per raggiungere un compromesso sulla prosecuzione dell’utilizzo di simbolo e nome di “Potere al popolo!” da parte di chi è rimasto dentro PaP.

Ammesso che questo possa essere l’unico punto di vista dal quale questa vicenda è visibile e vivibile.

Alcuni compagni hanno osservato che, dopo tutte le scissioni subite, Rifondazione Comunista non ha cambiato simbolo o nome: secondo questi compagni subire delle scissioni che creano altri partiti è uguali ad un Partito che abbandona un progetto politico che da movimento inclusivo diventa partito esclusivo.

Avrebbe scritto Marx: “Capisca chi può!”. Difficile obiettare alle pretestuosità di commenti che sono, come dicevo prima, più che altro insulti e non cercano di ragionare nei termini proposti dal Segretario nazionale di Rifondazione Comunista.

Del progetto originario di PaP oggi rimane ben poco e solo chi ha sempre ritenuto ingombrante la presenza dei tanto vituperati “partiti” oggi si sente oggetto di un tentativo presunto di espropriazione di un nome e di un simbolo.

I partiti in questi decenni hanno sempre fatto un po’ ribrezzo, se non proprio schifo, a tanti movimenti, a realtà strutturate diversamente che però si sono sempre appoggiate a quei “quattro gatti” di Rifondazione Comunista che hanno mantenuto vivo un Partito che ancora oggi, lo si voglia o meno, rappresenta una comunità che – seppur ridotta rispetto agli anni della fondazione e del suo apogeo nel 2001 – resiste e continua ad essere presente in tutta Italia con le sue federazioni e i suoi circoli.

Il fatto che Rifondazione Comunista rimanga un punto di riferimento per compagne e compagni che non sono del PRC ma che sanno di trovare nel PRC un luogo di antifascismo, libertà, difesa della democrazia sociale e civile, una forza su cui contare ogni volta che si tengono manifestazioni, cortei, assemblee, lotte per il lavoro, per la scuola, per la salute e per l’ambiente, ebbene ciò a mio avviso, per quanto lontano dalla “grandezza” originaria, rimane e deve rimanere un valore aggiunto per la sinistra comunista e antiliberista in Italia.

“Potere al popolo!” è stata una esperienza cui Rifondazione Comunista ha ceduto sovranità politica credendo in un percorso di aggregazione di differenti culture e approcci alla vita e alla praticità quotidiana della politica.

Dopo il 4 marzo però ha prevalso non solo un atteggiamento settario sul piano politico ma anche una gestione organizzativa molto poco orizzontale, quanto meno insufficiente nel rendere coinvolti tutti i soggetti nella costruzione proprio di PaP.

Che da tutto ciò ne sia derivata una esigenza di recupero di una disposizione alla formazione di una sinistra più ampia e non relegata nell’autoreferenzialismo di una celebrazione costante di sconfitte elettorali nazionali e locali, di una sottovalutazione di una necessaria invece costruzione di una nuova cultura a sinistra che unisca lotta e gestione del potere (i comunisti non dovrebbero avere paura di usare questa parola), è una legittima propensione venuta fuori tanto in altri soggetti che avevano preso parte all’esperienza di PaP, quanto in Rifondazione Comunista.

Per questo, oggi, personalmente credo che le strade siano così diverse sul piano culturale e metodologico da impedire un riavvicinamento anche soltanto dialogico in vista di scadenze come le elezioni europee.

Rendere pubblica la lettera di Maurizio Acerbo è stato un atto politico, un modo per provare a dimostrare che quelli di Rifondazione Comunista sono dei cattivoni, ma tanto cattivi: non vogliono far proseguire PaP! Mentre Carofalo e Cremaschi sono buoni e lo dimostrano provando che gli altri sono cattivi, cattivi.

Si prova ancora una volta a far apparire i partiti e Rifondazione come coloro che impediscono il libero sviluppo della cosiddetta “società civile” e i movimenti: Rifondazione Comunista ha dimostrato nella sua quasi trentennale storia che ha collaborato fattivamente con i movimenti: non tanto con piccoli centri sociali saliti alla ribalta delle cronache grazie a quel momento elettorale che criticavano fortemente con un atteggiamento snobistico dal sapore quasi aristocratico, ma semmai il PRC ha fatto parte della grande stagione dei Social Forum per cui personalmente non simpatizzavo granché.

Mi sbagliavo. Aveva ragione il mio Partito nel sostenerli e nel prendere parte attivamente al G8, nel difendere dalle colonne di Liberazione tutti quei giovani che sono stati massacrati dalla repressione governativa e dai poteri che la ispiravano.

Eppure Rifondazione non ha chiuso quei movimenti in sé stessa: si è messa a disposizione, come sempre, di una sinistra anticapitalista molto più ampia del processo della “rifondazione comunista”, proprio per ridare al comunismo un valore moderno, svecchiandolo da un mondo di nostalgie che lo rimetteva nelle caselle di un Novecento che faceva fatica a passare.

Oggi Rifondazione Comunista, le sue compagne e i suoi compagni, il suo Segretario, vengono derisi, insultati da decine di compagne e compagni di PaP per un atto che chiede soltanto di riconoscere che non è giusto mantenere un simbolo e una denominazione comune, che era anche di Rifondazione stessa, del PCI, di Sinistra Anticapitalista.

E’ comprensibile il tentativo politico di mantenere nome e simbolo capitalizzando un consenso accumulato dalle elezioni ad oggi.

Meno comprensibile è la guerra che si è voluta scatenare tra PRC e PaP “socializzando” la lettera di Acerbo su Facebook che, notoriamente, è un luogo di degrado delle discussione e di pericoloso scadimento delle opinioni in anatemi senza senso, in insulti gratuiti inanellati in lunghe catene di “botta e risposta” che finiscono con l’amplificare una vicenda che poteva e può essere risolta con un semplice incontro del coordinamento nazionale di PaP, così come richiesto da uno dei soci fondatori: Rifondazione Comunista.

Con Viola Carofalo, ad esempio, ho condiviso la critica fatta all’assemblea “Oltre le disuguaglianze” circa la partecipazione dei partiti e dei soggetti organizzati: ora che PaP si sta strutturando in partito si comprendono quelle ragioni di Rifondazione Comunista, del PCI e di Sinistra Anticapitalista nel rivendicare un ruolo di autonomia e di unità al contempo dentro un contenitore sociale e politico ampio. Quello che doveva essere ad inizio anno l’esperienza di “Potere al popolo!”.

Cambiare nome e simbolo non graverà sull’esperienza di ciò che rimane di “Potere al popolo!” se davvero dietro quell’emblema ancora c’è qualche rete organizzata di compagne e compagni che vogliono proseguire un progetto. Rifondazione Comunista si è costituita nel 1991 dopo il crollo di una enorme storia politica dei comunisti e delle comuniste in Italia. Una storia ben più importante di PaP, questo lo si deve riconoscere almeno ai fatti storici.

Eppure i comunisti e le comuniste hanno voltato pagina rimanendo tali in un nuovo Partito che si avvicinava alla tradizione innovandola. Ci sono voluti anni per creare un Partito nel vero senso della parola e unire pratiche e culture che interpretavano le lotte partendo da differenti punti di vista sul marxismo, sulla società e sull’evoluzione della trasformazione sociale.

Pur subendo decine di scissioni, Rifondazione Comunista, dopo l’estinzione della sinistra parlamentare, tutt’oggi esiste: ridimensionata, residuale quanto si vuole, ma esiste e offre il suo contributo alla costruzione di un nuovo soggetto unitario che guardi anche oltre le scadenze elettorali e che può vedere la partecipazione delle compagne e dei compagni di ciò che rimane di PaP.

Non trattiamoci da nemici. Magari da buoni fratelli separati: come i sefarditi in Spagna. Ci si può detestare anche con cordialità in nome di una causa comune.

Noi comunisti dovremmo saperlo fare se vogliamo portare in questo millennio una speranza di recupero dei valori di uguaglianza, libertà e fraternità; se vogliamo rimettere al centro del nostro agire il lavoro e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo per recuperare la coscienza di classe che ora giace sepolta sotto la protesta populista, circondata dalle destre sovraniste e da una Europa che fa più paura ogni giorno che passa.

A 50 anni dalle vicende di Avola, dovremmo ricordare tutto questo e provare a trovare una connessione sentimentale oltre che programmatica per costruire una sinistra di alternativa questa volta su contraddizioni relazionali anche grandi tanto quanto può tornare ad essere grande la presa della critica anticapitalista nelle masse di un moderno proletariato incosciente.

MARCO SFERINI

2 dicembre 2018

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