La sinistra che non tradisce è anticapitalista

La categoria del “tradimento” è una delle più usate e per questo anche abusate che si ritrovino nei discorsi e negli scritti più diffusi e comuni. La si usa...

La categoria del “tradimento” è una delle più usate e per questo anche abusate che si ritrovino nei discorsi e negli scritti più diffusi e comuni. La si usa per definire, generalmente, chi devia da un determinato ambito, percorso, linea di condotta morale, politica, intellettuale, religiosa. Per non parlare del tradimento per antonomasia: quello amoroso.
Ma su quest’ultimo è più facile trovare una vasta letteratura e una casistica altrettanto vasta che dimostrano come i fedifraghi mariti o le fedifraghe mogli (o semplicemente uomini e/o donne a seconda del caso) vivano molto spesso situazioni così singolari da non poter mai arrivare ad una definizione quasi scientifica del tradimento amoroso.
Invece in politica, nella vita sociale e culturale di tutti i giorni, il tradimento ha uno sviluppo lineare, oggettivo, perché accomuna più di una persona se si parla di “scissioni”, mentre quando si svolge nella solitudine di un individuo che abbandona un partito, un movimento ci troviamo davanti a solamente due casi: o viene cacciato ed espulso oppure si autoesclude da quel progetto e ne esce volontariamente.
Si parla di tradimento sempre dall’alto della concezione univoca e speciale che l’accusatore (o gli accusatori) definisce in merito alla deviazione da una linea politica determinata da organi collegiali, quindi stabilita con votazioni che l’hanno validata e resa efficace.
E si parla di tradimento quando qualcuno fa il “salto della quaglia” e decide in pochi attimi di fare armi e bagagli e trasferirsi magari nello schieramento politico opposto rispetto a quello in cui ha vissuto, fino a quel momento, la sua esperienza.
Dunque il tradimento esiste e non possiamo negarlo. Ma andrebbe dosato l’uso di questa terminologia, regola che dovrebbe valere anche per molti altri concetti e parole: si parla di sinistra per definire il Partito Democratico che non è di sinistra nella assoluta obiettività dei fatti.
Si parla di “governatori” per definire i presidenti di regione e non c’è menzione di questa parola nella nostra Costituzione e in nessun altro codice o libercolo legislativo e disciplinante il funzionamento degli enti locali.
Si parla di “libertà” praticamente sempre e si tradisce il senso della parola ogni volta che la pronunciano quei liberal liberticidi che da destra ne hanno fatto inni, simboli e contenitori politici per veicolare il consenso di milioni di italiani da venti e più anni a questa parte.
Si parla di riforme costituzionali da parte del governo Renzi e invece si dovrebbe parlare di stravolgimenti della Costituzione. Ma è evidente che la ragion politica non può far dire a chi è apertamente in mala fede e persegue uno scopo politico per sostenerne uno economico dal quale ha la propria forza di comando, che ciò di cui sta parlando con fervore è esattamente il contrario di quello che si accinge a fare.
Vi ricordate? Qualcuno ha detto che in tempi in cui la menzogna regna sovrana dire la verità è un atto rivoluzionario. E purtroppo molte volte anche isolato e per questo deriso, derubricato ad utopia, a romanticismo quasi decadente.
Per questo se noi comunisti diciamo che vogliamo costruire una sinistra di alternativa insieme a tutti quei soggetti che vogliono partecipare al cambiamento radicale e senza appello della società capitalista, veniamo tacciati d’essere quelli che frenano la modernità, che si chiudono nei recinti della protesta, che sono minoritari, che sono antigovernisti, che non aspirano ad essere una sinistra che vuole veramente rivoltare le cose.
Ed ecco che la categoria del tradimento arriva prontamente per essere ripetutamente scambiata con vicendevolezza e i discorsi si perdono in infantili insulti reciproci, in scambi di accuse che sedimentano odi e rancori.
Comportamenti sbagliati, indubbiamente. E tuttavia non si può non riconoscere che l’ostinazione all’unità di molte sinistre diverse, fortemente diverse fra loro, è un danno peggiore della divisione che permane.
Bisogna prendere atto che l’unità a tutti i costi non è una dimensione assolutamente virtuosa e benefica per la sinistra tutta.
Solo stabilendo dei parametri chiari si potrà unire ciò che si vuole unire perché si attrae quasi spontaneamente, senza troppe contorsioni e torsioni magari elettoralistiche. Il processo aggregativo deve, per scongiurare la categoria del tradimento prima, durante e dopo la sua edificazione, unire quelle compagne e quei compagni che sentono di poter stare sullo stesso fronte e di avere un orizzonte comune.
Questo orizzonte non può non essere quello dell’anticapitalismo se vogliamo costruire una sinistra critica con il sistema di sfruttamento del lavoro e di produzione delle merci che non conceda appello prima di tutto ai suoi compagni ed alle sue compagne. Non c’è margine di discussione su questo: o si è anticapitalisti o si accettano le regole politiche del sistema e quindi si è disposti a scendere a compromissioni (che sono sempre differenti dai compromessi tattici nella valutazione dei rapporti di forza per far incidere la propria determinazione in un contesto ampio e che contempla, ovviamente, diversissimi fattori di confronto).
Lasciamo da parte le accuse di tradimento. Prendiamo piuttosto atto apertamente, senza infingimenti, di ciò che vogliamo: se c’è compatibilità, se esiste un terreno comune su cui costruire l’edificio della sinistra italiana, allora non c’è alcun alibi per non farlo.
Ma se la sinistra italiana viene immaginata come un’appendice del Partito democratico o anche solamente un soggetto disposto a dialogare con questo PD, allora non vale la pena di costruire una depandance dove ci sia un po’ di colore rosso per ingannare qualche elettore e far apparire il complesso degli edifici meno bianco, meno democratico-cristiano, meno liberista e fintamente di centro-sinistra. Il trattino è d’obbligo.
La sinistra che va costruita deve essere alternativa senza se e senza ma tanto al liberismo del PD quanto al qualunquismo di Grillo e, naturalmente, avversaria delle destre.
Esiste, come si può vedere, un campo chiaramente definibile dove agire. Chi deve eliminare ambiguità e Giani Bifronti ha il tempo per farlo.
La paura di non unire il più possibile è deleteria e rischia di far rovinare tutto il processo che si è aperto con la costruzione della Lista Tsipras. La consapevolezza di poter unire quante più sigle, soggetti e singole compagne e singoli compagni possibili attorno ad un denominatore comune è il miglior volano per far decollare un sogno minimo che può avere così gambe forti e andare più lontano di quello che oggi possiamo immaginare.

MARCO SFERINI

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