La sicurezza dell’impunità, problema e trappola allo stesso tempo

Le “mele marce” ci sono un po’ in tutti i frutteti. Ma ci sono. E siccome natura non facit saltus, il marcio può sempre ripresentarsi, intaccare nuovamente i pomi...

Le “mele marce” ci sono un po’ in tutti i frutteti. Ma ci sono. E siccome natura non facit saltus, il marcio può sempre ripresentarsi, intaccare nuovamente i pomi penzolanti dagli alberi. Per questo, per prevenire tutto ciò, non dovrebbe esistere alcuna tentazione nella formulazione di preconcettuali alibi che finiscano per allontanare causa ed effetto, il problema singolare emerso da anni di indagini di una Procura della Repubblica dal contesto in cui si è formato, si è evoluto ed è diventato così orrorifico da oltrepassare ogni immaginazione.

Tanto nel mondo militare quanto in quello civile, vengono a crearsi ambiti in cui la democratizzazione dei comportamenti di ognuno, che dovrebbe far parte di un generale adempimento dell’applicazione della Costituzione, cede il passo all’interesse singolare; ancora di più grave se chi commette determinati reati è investito di un ruolo pubblico, di un potere che gli è concesso dallo Stato per vigilare sulla sicurezza della cittadinanza.

A noi non arriveranno mai“. Potrebbe essere il titolo di un libro inchiesta sui fatti che si ripetono, episodicamente, ma sempre e comunque a scapito di soggetti deboli, fragili: giovani indifesi, gracili di corpo, che si trovano davanti ad un potere che li soverchia, li costringe ad ubbidire e che nega loro ogni diritto costituzionale, ogni possibilità di rifarsi a quella democrazia repubblicana che invece avrebbe il compito di proteggere ciascuno di noi nel considerarci soggetti capaci di una propria personalità giuridica, espressione di una determinazione del diritto che non spetta, in quanto fonte del giudizio, ai militari, alle polizie e agli apparati di sicurezza, ma soltanto alla Magistratura della Repubblica.

Da un lato c’è la certezza assoluta (o quasi) che nessun’altra istituzione potrà mai entrare nelle dinamiche distorte di una associazione a delinquere di cui ci si vanta, a pieno titolo, in quelle migliaia di ore di intercettazioni che hanno scoperto il vaso del verminaio. Nessuna distopia è messa in ipotesi alcuna: tanto meno che una intera caserma possa venire sottoposta a sotto sequestro.

Così come, oggettivamente, non si può prevedere alcun terremoto, ma solo studiare i movimenti delle faglie sotterranee per tracciare le mappe dove è più probabile che si verifichino eventi di grande portata sismica, altrettanto, in questa storia ignobile, che non è piccola ma veramente grande, nessuno dei protagonisti, partendo proprio da quella bolla impenetrabile di impunità nella quale si sentivano avvolti, avrebbe potuto anche minimamente sospettare di essere intercettato, seguito passo dopo passo nelle tante attività criminali che sono emerse.

Non era quindi possibile tracciare una carta dei confini entro i quali potersi muovere, i limiti da non oltrepassare, i crinali da non scollinare, per il semplice motivo che non esisteva alcun territorio delimitato: l’essere diversi dai comuni criminali in borghese, dai cittadini che delinquono e sono sottoposti alle restrizioni eseguite dai militari su ordine dei magistrati, era il primo cerchio di autotutela che consentiva ad altre Malebolge di formarsi, incrementando la sete di denaro che non bastava mai.

Più che nel fondo del fondo dell’Inferno, la traduzione metaforica di questa associazione a delinquere si rivolgeva a grandi altidutini: “Siamo in cima alla piramide!“, era l’esclamazione che proteggeva anche dal più recondito immaginario di un capovolgimento della situazione stabile che era stata costruita e che andava avanti da tre anni.

Non è certo nei cerchi della dannazione che si leggevano per immagini il loro presente e tanto meno il loro futuro: ma dall’alto di una delle otto meraviglie del mondo. Da dove lo sguardo si perde, oltre il deserto dei diritti e della legalità, dove li aspettavano sempre belle automobili, moto di grande cilindrata, affari in costante crescita.

Dalla punta magica delle piramidi che si stagliano verso il cielo, proiettandosi nella concretezza di una vita lussuosa, che utilizzava tutte le prerogative da pubblico ufficiale per sovvertirle nello stesso istante, senza alcuna soluzione di continuità. Coincidenza perfetta, progetto sicuro, nessun sospetto che quel cerchio magico potesse essere intaccato da chicchessia.

Eppure c’è sempre un granello di sabbia che, magari per puro caso, inceppa l’incontro meccanico delle ruote della macchina perversa e fa saltare anche il più articolato ingranaggio, mettendo un limite al sogno infinito di aver dato vita ad una perfezione dell’illecito schermata da una evidentissima, abbagliante apparenza del lecito.

Mamma mia quante mazzate ha pigliato… Colava il sangue, il sangue gli colava da tutte le parti… Sfasciato da tutte le parti, non parlava… Credimi che ne ha prese, ne ha prese…“. Chissà quale reazione ha avuto la fidanzata sentendo queste parole. Il suo ragazzo d’ordine le descrive un pestaggio nei dettagli, uno dei tanti: simile a quelli che hanno mandato all’altro mondo Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, il vicebrigadiere Mario Cerciello, rotto le teste di centinaia di giovani alla Scuola “Diaz” di Genova o nella Caserma di Bolzaneto.

Non c’è un collegamento diretto tra questi fatti, ma tutti sono riconducibili alla violazione di un articolo della Costituzione. E’ l’articolo 52, terzo capoverso: “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica“. Evidentemente non sempre viene preso alla lettera il dettame della Carta fondamentale dello Stato italiano.

Qualcuno ritiene che, proprio grazie al paravento democratico, si possa agire indisturbati, facendo finta di essere militari dediti alla vigilanza proprio di quell’insieme di tutele e di diritti che immediatamente dopo vengono calpestati, vilipesi e scissi dalla coincidenza tra principio e presenza del medesimo nella materiale fisicità corporale di ogni cittadino.

Il corpo è parte non secondaria in questa come in tante altre vicende di opposizione tra potere e presunto reo, tra potere e cittadino incolpevole. Tra il potere che sovrasta e la libertà del singolo che deve obbedire. Qui si determina la prima delle grandi scissioni che permettono di considerare lo Stato di diritto non l’espressione dei cittadini stessi, ma il recinto dove devono stare, anche recalcitrando, ma senza dimenarsi troppo. E’ anche una questione di cultura sociale e giuridica che viene messa in discussione senza apparire sulla scena dei crimini, ma stando dietro alle quinte dei calvari di tanti storni di diritti elementari che sono cancellati senza alcuna preoccupazione.

Proprio questa impunità realizzata mentalmente come scudo penale, come protezione sempre presente, è, di tutta questa vicenda, così come di altre, il convitato di pietra inamovibile, che deve anzi essere visto e analizzato approfonditamente per individuare il punto debole, quel punto di caduta dove si passa dall’essere “servitori dello Stato” a servitori di sé stessi.

Ciascuno di noi è la Repubblica e, per questo, la vigilanza migliore è quella repubblicana nel senso meno militare e più civile del termine: chiunque ha il dovere di mantenere vivi e saldi i cardini della democrazia. Questo eviterebbe che qualcuno si pensasse al di sopra della Legge, in permesso di potersi comportare a propria discrezione senza dover renderne conto, per il “semplice” fatto di far parte in prima persona delle istituzioni che gestiscono l’ordine pubblico.

L’ordine, per sua stessa natura, come potrebbe mai scadere nel disordine, mutarsi nell’esatto contrario di sé stesso? Eppure ciò avviene perché il sistema non è la perfezione, non è la moralità assoluta, non discende da una ispirazione trascendentale e metafisica che condiziona l’empirico e il fisico. Nessuna idea, nessun principio, per quanto possa essere moralmente dissuadente, è in grado di garantirsi in quanto unica ispirazione delle azioni umane.

Hai presente Gomorra? Uguale…“. Credo di essere tra i pochi che non ha mai visto la serie ispirata al libro di Roberto Saviano. Me ne dispiaccio. Ma posso immaginare di cosa tratti se viene equiparata ai tanti reati commessi nella caserma delle torture, delle droghe, degli abusi e delle estorsioni. Così la definiscono non solo i grandi quotidiani nazionali ma le parole del Procuratore della Repubblica: “Non c’è stato quasi nulla di lecito in quella caserma. Gli illeciti più gravi sono stati commessi in pieno lockdown. Si tratta di una serie di reati impressionanti se si pensa che sono stati commessi da militari dell’Arma che hanno disonorato la divisa.“.

La corruzione è endemica a questo sistema economico e antisociale in cui viviamo e, del resto, lo è sempre stata perché prescinde persino dal tipo di vita che si viene creando attraverso la lotta fra le classi nel corso della storia: semmai l’endemicità è tipica proprio del potere, della disposizione di una differenza tra chi gestisce e chi è gestito.

E’ un comportamento umano, nel senso che è tipicamente proprio nostro, mica degli animali. Loro non conoscono l’odore dei soldi, il fetore dei commerci e la putrefazione delle coscienze che vi si piegano come unica ragione di vita, estraniandosi dalla società, diventando dei satrapi che si autonominano, che gestiscono i loro affari sotto copertura.

Ma non quella classica che mira a sgominare le bande criminali penetrandovi al rischio della vita. Qui è l’esatto opposto, l’irreale che diventa oggettività. Un inconfutabile senso di smarrimento che indigna, che rimanda alla percezione di sé stessi, al considerarsi per come e dove si è: nel giusto o nell’ingiusto. Oltre il confine del lecito, del dovere, dell’adesione piena al compito dato per giuramento di fedeltà alla Repubblica o invece contro la Repubblica stessa?

Da libertario avrei potuto fare spallucce e rubricare tutto come “consuetudine” di un sistema che inevitabilmente si trascina appresso fenomeni di questo tipo, di tanto in tanto. Anzi, purtroppo assai spesso. Ma significherebbe far prevalere una parte ideologica di sé stessi rispetto a quella civica, civile e morale.

Anche questo è compito di un cittadino: riflettere, pensare, valutare ed esprimere liberamente la propria opinione soprattutto quando sembra ripetitiva, irrilevante e pleonastica; quando l’evidenza è lampante e la dimostrazione delle proprie ragioni viene confermata dalle tante storture del potere. Lì la vigilanza repubblicana di ogni cittadino rende la democrazia così innocente e bella, da far risaltare ancora di più il contrasto che ne deriva con i fatti di una caserma finalmente chiusa.

MARCO SFERINI

23 luglio 2020

Foto di Barbara Bonanno da Pixabay

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