La guerra solitaria di un ginecologo contro la legge texana

Aborto. Alan R. Braid sul «Washington Post»: ho praticato un’Ivg. E puntuali arrivano due «cacciatori di taglie» a denunciarlo

«…E questo è il motivo per cui, la mattina del 6 settembre, ho eseguito un aborto su una donna che pur essendo al primo trimestre di gravidanza era già oltre i nuovi limiti dello stato».
Alan R. Braid è un vecchio ginecologo di San Antonio, Texas. Dopo quasi cinquant’anni di carriera e tre cliniche aperte, ha stabilito un record: è il primo medico denunciato per la violazione della nuova e terrificante legge texana sull’aborto. Deposto l’aspiratore, infatti, ha impugnato la penna e ci ha scritto sopra un editoriale per il Washington Post.

In carriera, scrive, ho fatto nascere più di diecimila bambini. E sì, ho eseguito molte interruzioni di gravidanza. Ma non da subito.
Il dottor Braid si è laureato nel 1972. I Dallas Cowboys vincevano il loro primo Super Bowl, cinque furbacchioni si facevano arrestare nel Watergate, usciva Il Padrino di Coppola, si combatteva in Vietnam… Per un anno di obbligatoria pratica gli arrivano in corsia ragazzine con l’utero devastato dalla setticemia, l’interno della vagina tutto una piaga, ferite da raschiamenti fatti in casa. In tre vengono a morire nella sua clinica. Perché il 1972 era l’ultimo anno prima di Roe v Wade, la sentenza della Corte suprema del 1973 che rese l’aborto legale negli Usa. Ma in quel momento, in Texas, l’aborto era illegalissimo – sola eccezione, uno psichiatra che diagnosticasse intenti suicidi della gestante.

Un anno di donne macellate è stato più che sufficiente per tutto il successivo mezzo secolo, e il giovane dottor Braid è diventato il vecchio dottor Braid. Poi il primo settembre il Texas ha reso effettiva la sua nuova legge, e – scrive il medico – «siamo piombati di nuovo nel 1972», quello dei suoi incubi di ginecologo esordiente, addestrato in un modo dall’università e impiegato in un altro dagli ospedali.

Come già scritto anche in Italia (e sul manifesto in modo chiaro e frequente), la legge texana vieta praticamente ogni aborto dopo la sesta settimana, in particolare quando l’ecografia – obbligatoria – registra il battito di quello che tra un altro po’ di suddivisioni cellulari sarà un cuore: se quel pugno di cellule pulsano, niente interruzione di gravidanza. Braid descrive l’angoscia delle sue più recenti pazienti quando si avvicina l’ecografo che disporrà della loro vita cercando un grumo di attività elettrica. Gli antiabortisti texani chiamano la legge Heartbeat Law, tutti gli altri S.b. 8 (Senate Bill n. 8).

Ma il vero capolavoro, la S.b. 8 lo realizza assegnando alla popolazione generale – e non a poliziotti e giudici – il compito di rilevare le infrazioni, grazie a una taglia «di almeno 10mila dollari» per chiunque denunci gestante, medici, infermieri e chiunque altro coinvolto nel processo fino al tassista che porta la donna in clinica. Sembra roba della non compianta Staatssicherheit della Germania Est (più nota come Stasi), invece è un trucco per evitare intromissioni dei tribunali superiori. È talmente grossolano che ha funzionato e la Corte suprema super-conservatrice (tre giudici su 9 nominati da Trump), ha rigettato il caso.

Naturalmente, entro 24 ore il vecchio dottor Braid ha trovato due bounty killer attratti dai 10mila dollari, che lo hanno prontamente denunciato. Uno è un ex avvocato dell’Arkansas radiato dal foro per un’enorme evasione fiscale e nemico seriale dell’imposta sui redditi. Si chiama Oscar Stilley: sabato ha letto il Post e lunedì mattina era davanti al tribunale della contea di Bexar, quella di San Antonio, a depositare la sua denuncia. Il Wall Street Journal riferisce che Stilley dice di voler solo mettere alla prova la discussa legge texana. Se nel lodevole impegno civico gli cascassero in tasca i 10mila non sarà lui a rifiutarli. L’altro è meno pittoresco ma rappresenta anche meglio le forze in campo. Si chiama Felipe N. Gomez, è dell’Illinois, è un Repubblicano iscritto ma si definisce pro choice: «Sono contrario a farmi dire cosa devo fare col mio corpo, come per vaccinarmi o usare la mascherina».

Perché il nodo è lì. La mia libertà conta più della nostra libertà, una concezione proprietaria dei diritti che coinvolge le continue limitazioni statali su covid, aborto, voto ai neri e tutto l’armamentario della destra repubblicana, tutt’altro che sconfitta con Trump. In una foto recente un uomo corpulento inalberava un cartello davanti alla sede del governo del Texas: «My body, my choice», mio il corpo, mia la scelta. Non era un texano solidale con le donne. Era un no-vax.

Il Washington Post insiste: lunedì editoriale di Uma Thurman che racconta di aver abortito da ragazzina, in Germania, «il mio più oscuro segreto fino a oggi» scrive l’attrice, che definisce la Stasi bill n. 8 «qualcosa di simile al terrore» – oggi ha tre figli. E insiste anche il Texas: il governatore Greg Abbott ha vietato la pillola abortiva dopo le 7 settimane di gravidanza.

ROBERTO ZANINI

da il manifesto.it

foto: screenshot

categorie
Diritti delle donne

altri articoli