La fine del Brancaccio e il sandolino in mezzo al mare

Un tempo non lontano si diceva tra gli addetti più direttamente stretti all’organizzazione delle alleanze politiche: “Meno male che la gente non è a conoscenza di tutte le discussioni...

Un tempo non lontano si diceva tra gli addetti più direttamente stretti all’organizzazione delle alleanze politiche: “Meno male che la gente non è a conoscenza di tutte le discussioni e le liti che si fanno per costruire una coalizione, altrimenti non ci voterebbe nessuno”. Forse sarebbe stato un bene che tutti fossero sempre a conoscenza, o a portata della medesima, in quanto a diatribe interne sulle relazioni tra i partiti, tra i movimenti e anche tra i singoli che andavano a costruire un percorso comune per presentarsi alle elezioni.
Dietro al migliore dei programmi c’era spesso un lavoro lungo di affinamento delle posizioni, di scontri, incontri, abbracci e anche schermaglie di non poco conto. Ma stava tutto nel gioco democratico dei rapporti che non sono mai voluti essere, almeno per quanto riguarda i comunisti, di potere ma semmai di rappresentanza e, quindi, la lotta era sulla qualità di quella rappresentanza, sulla sua incidenza nell’insieme che si andava edificando.
Una volta, appunto, si diceva che la mancata conoscenza di tutto ciò avrebbe ancora condotto la gente che contava su noi a votarci, a dare fiducia a forze che, pur sbagliando, non tradivano la loro missione di dare importanza al “bene comune”, quindi alla società, al pubblico, contro l’interesse privato, contro il profitto fatto sulle spalle della maggioranza della popolazione.
Oggi questo pericolo non esiste: liti, schermaglie, riavvicinamenti, tira e molla sono di dominio assolutamente pubblico. Complici le reti sociali che tutto mostrano e tutto distorcono anche. Ma la gente comune, i moderni proletari, gli sfruttati del nuovo millennio hanno smesso di votare forze comuniste e progressiste. Hanno smesso proprio di votare. Disertano le urne come forma palese, inequivocabile di protesta e le macerie che ne restano sono quelle di una sinistra dispersa, nel marasma più totale, divisa tra chi ancora cerca un po’ di rappresentanza parlamentare per avere un po’ di potere contrattuale con un futuro governo di pseudo-centrosinistra e chi invece ha tentato di rimettere in piedi un riferimento politico nettamente di alternativa sociale, antiliberista, con quel “percorso dal basso” che proprio poche ore fa citavo come possibile vittima di un verticismo partitico che uccide il progetto del Brancaccio iniziato lo scorso giugno e che punta alla costruzione di una lista o di un partito con un leader già incoronato tale. Il 2 dicembre sarà più che una formalità designarlo e dire che quella, e solo quella, è la vera sinistra di alternativa: rappresentata da chi fino a poco tempo fa era nel PD e ha condiviso scelte e decisioni di non poco conto sotto i vari governi politici e tecnici che si sono succeduti dopo l’ultimo esecutivo di Berlusconi.
Tomaso Montanari, con Anna Falcone uno dei due promotori del Brancaccio, evidenzia tutto ciò con nettezza quando scrive:

…oggi sento il dovere di denunciare pubblicamente che i vertici dei partiti della Sinistra hanno deciso che, semplicemente, non vogliono questa unione più vasta possibile. Non vogliono questa alleanza con chi sta fuori dal loro controllo.
I segretari di Mdp, Possibile e Sinistra italiana hanno scelto un leader. E questo ha ‘risolto’ tutti i problemi: nella migliore tradizione messianica italiana.
Poi hanno lanciato un’assemblea, che si sta costruendo come una spartizione di delegati tra partiti, con equilibri attentamente predeterminati. E per di più un’assemblea che potrà decidere, sì e no, il nome e il simbolo della lista: ma non certo la leadership (scelta a priori, dall’alto e dal dentro), non il programma (collage di quelli dei partiti), non le liste (saldamente in mano alle segreterie). Un teatro, che copre l’obiettivo reale: rieleggere la fetta più grande possibile degli attuali gruppi parlamentari. Vorrei molto essere smentito: ma ho fortissimi argomenti per credere che, quando saranno note le liste, tutti potranno constatare che le cose stanno proprio così.
Certo non me lo auguro, ma temo che questa inerziale riedizione nazionale della coalizione che in Sicilia ha sostenuto Claudio Fava (per di più senza Rifondazione Comunista) non avrà un enorme successo elettorale.“.
È anche per questo che quella dei vertici di Mdp, Possibile e Sinistra italiana a me pare una scelta drammaticamente miope. Non è nemmeno più questione di ‘alto e basso’, o di ‘vecchio e nuovo’: la logica è quella per cui chi è ‘dentro’ il sistema della politica professionale si chiude ermeticamente verso chi è ‘fuori’.“.

Poi, però, accusa Rifondazione Comunista di aver fatto eguale cosa, di aver cercato di “impossessarsi” del Brancaccio. avendone “preso in ostaggio” l’assemblea programmatica torinese.
Da tutto ciò ne deriverebbe l’impossibilità a discutere, a confrontarsi, a scontrarsi anche.
E’ evidente che la critica alla “forma partito” sottintende queste parole di Montanari. E’ anche comprensibile dal suo punto di vista “civico”.
Lo è meno se si operano delle distinzioni e se si guarda alle dichiarazioni ufficiali dell’unico partito che era ancora disposto a sedere nella sala dell’Angelicum per continuare la strada iniziata a giugno.
Rifondazione Comunista non ha di certo snaturato questa impostazione e, anzi, ha criticato proprio un metodo di inquinamento dell’equipollenza delle presenze e delle proposte messe in campo provenienti da una formazione di un altro progetto da parte di Sinistra Italiana, Possibile e Mdp.
Due differenti approcci al raggiungimento dell’unità della sinistra in una lista alternativa al Pd potevano essere comunque confrontati e discussi di qui a cinque giorni.
L’annullamento dell’assemblea sembra improvvido; sembra, direttamente o indirettamente che sia, quasi una strada spianata a chi si era organizzato per il 2 dicembre. Non esistono più ostacoli ora alla formazione della nuova entità della sinistra a sinistra del PD. Quel piccolo problemuccio rappresentato da chi non voleva e non vuole aderirvi è risolto: Rifondazione Comunista ora sembra essere sola.
Non esiste più l’alternativa all’alternativa stessa: la strada del Brancaccio, sostiene Montanari, non è sbarrata e non si chiude qui. “Si ferma per ricominciare”. Una bella formula che però al momento, visti i tempi strettissimi dell’organizzazione politica per la presentazione di una proposta politica per le elezioni della prossima primavera, risulta niente di più che una locuzione arcaicamente concepita: un linguaggio più che altro individuale senza alcun raffronto con la cruda realtà dei fatti.
Eppure serve una formazione politica che rappresenti determinate istanze popolari, del lavoro, della scuola, del mondo pubblico ridotto a subordinata del mercato attraverso mille privatizzazioni.
Serve una proposta comunista, anticapitalista e antiliberista inserita in un contesto anche più ampio, di respiro culturale e sociale molteplice, che guardi alla riunione di chi non si riconosce in nessun altro progetto politico presente oggi in campo: dalle tre destre di diversa conformazione e riferimento antisociale (per intenderci ennesimamente: PD, Cinquestelle, centrodestra classico) fino alla sinistra moderata che si propone come alternativa al renzismo ma che è pronta a dialogare con il PD, quindi ad assumere la funzione di “sinistra del centrosinistra”, attendendo i tempi buoni magari per rieditare impossibili ripetizioni (peraltro confermate dallo stesso professor Prodi) de l’Ulivo o de l’Unione.
Ora non restano che due strade per Rifondazione Comunista:
– continuare un lavoro di riunione con forze civiche che non si riconoscono nel progetto tripartito della futura “Lista Grasso”;
– lavorare alla costruzione di una lista che riunisca le forze sociali e politiche anticapitaliste e comuniste.
La prima ipotesi è quella che potrebbe rimettere in auge lo “spirito del Brancaccio”. La seconda è una strada che alcuni definirebbero “più identitaria”, forse più riconoscibile, magari meno apprezzabile da un elettorato che ha smarrito le coordinate del classismo, dei riferimenti sociali e che, molto trasversalmente, decide di volta in volta in base alla rabbia “di pancia” come schierarsi.
Col cuore saprei quale strada prendere. Con il logoro pragmatismo della ragione occorrerà misurarsi comunque.
L’unica via che non riconosco né dal punto di vista emozionale e tanto meno da quello razionale è entrare nel calderone del politicismo moderato della “Lista Grasso”.
Insomma, escludere una opzione è già qualcosa in questo pandemonio politico. Ma ora abbiamo dei nemici in più: la fretta, la mancanza di una via.
Abbiamo ancora forse la capacità di non arrenderci, di non lasciarci scoraggiare completamente da tatticismi che condizionano anche intenzioni lodevoli che sono state abbandonate davanti ad ostacoli che non erano insormontabili ma che, certamente, non erano piccoli intralci da risolvere con belle intenzioni e belle parole.
Il mare grande che abbiamo innanzi è vasto e abbiamo un sandolino per affrontarlo. Che facciamo? Rimaniamo ad attendere sull’isola deserta che passi una nave grande e ci imbarchi o ci avventuriamo, come sempre, in mezzo alla tempesta?

MARCO SFERINI

14 novembre 2017

foto tratta da Pixabay

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