Il Partito del Lavoro del Belgio, tra populismo e compatibilità

Nel suo numero di Novembre “Le Monde diplomatique” ospita due articoli riguardanti la situazione del Belgio: il primo firmato da Paul Dirkx esamina la situazione generale; il secondo, autore...

Nel suo numero di Novembre “Le Monde diplomatique” ospita due articoli riguardanti la situazione del Belgio: il primo firmato da Paul Dirkx esamina la situazione generale; il secondo, autore Sébastien Gillard, analizza la realtà del Partito del Lavoro del Belgio (PtB).

 Una situazione interessante, questa, del PtB sulla quale vale la pena riflettere con qualche osservazione di sostanza.

Il PtB è un partito d’ispirazione marxista – leninista, fondato nel 1979: a lungo i suoi risultati elettorali sono risultati molto modesti, di sotto all’1%.

L’inversione di tendenza si è verificata a partire dalle elezioni legislative del 2014 quando il PtB ha raggiunto il 3,7% dei voti a livello federale e il 5,5% in Vallonia.

A giudicare dall’andamento dei sondaggi il processo di crescita è andato avanti a ritmo impetuoso.

Nel luglio di quest’anno un’analisi condotta dal quotidiano L’Echo attribuiva al PtB la maggioranza relativa in Vallonia con il 25% superando sia il movimento riformatore del primo ministro Michel, sia il Partito Socialista.

Quali le ragioni di questa ascesa elettorale?

Spiega Charlie La Piage, dirigente giovanile del Partito, e riportiamo le sue parole come dal testo dell’articolo in questione:

“ Nel 2008, all’epoca del nostro VIII congresso, ci siamo posti delle domande: siamo il partito del lavoro, vogliamo rappresentare i lavoratori, difendere i loro interessi, vogliamo la loro emancipazione. Com’è possibile che così pochi si volgano verso di noi?

Allora abbiamo cercato di mettere a punto un pensiero più appropriato che le persone possano capire, trovare coinvolgente e convincente”.

Il PtB decide allora di abbandonare i riferimenti al marxismo – leninismo, pur riaffermando la dottrina marxista, e di focalizzare il proprio programma su alcune proposte di forte impatto: l’istituzione di una tassa sui milionari, l’aumento della pensione minima a 1.500 euro il mese, per esempio.

Si decide anche di mutare il linguaggio: alla categoria di “classe operaia” si preferisce quella di “persone”, come dimostra lo slogan adottato “Le persone prima del profitto”.

Nel quadro di una costante flessione del Partito Socialista questa strategia rende al PtB una crescita di iscritti (tra il 2008 e il 2016 da 2.500 a 10.000 membri) e consente al partito, nel 2014, di mandare deputati sia al Parlamento regionale della Vallonia (2) sia a quello nazionale di Bruxelles (4).

I parlamentari, tra i quali Marco Van Hees un ex-funzionario del ministero delle Finanze vero e proprio campione nella lotta per l’evasione fiscale, si auto impongono una disciplina di ferro: ogni parlamentare deve vivere con uno stipendio compreso tra i 1.500 e i 1.800 euro (l’antica V super dei metalmeccanici dei funzionari del PCI?) versando il resto dell’indennità al partito (anche su questo punto il richiamo a PCI e PCF almeno agli anni’70 è evidente).

Il portavoce nazionale Raoul Hedebouw (anche lui eletto al parlamento nazionale) ha così riassunto questa filosofia nel discorso del 1 maggio tenuto a Liegi: “ Se il nostro modo di vivere non coincide con il nostro modo di pensare, inizieremo a pensare come viviamo”.

Un discorso che, nella situazione belga, assume ancora maggior valenza dato l’alto grado di corruzione che circola nell’intero sistema politico.

Il PtB naturalmente è in prima linea nell’opposizione a progetti di legge come quello presentato dal deputato Bacquelaine che intende ridurre le pensioni degli ex – disoccupati o alla legge Peeters che liberalizza l’utilizzo degli straordinari, dei contratti part – time e degli orari flessibili.

Fin qui una sommaria descrizione di ciò che è accaduto e sta accadendo nel PtB.

Proviamo allora sviluppare alcune considerazioni sulle quali sarebbe interessante avviare una qualche riflessione riguardante anche la sinistra italiana.

Al rilievo, quasi naturale, avanzato da alcuni politologi, di aver assunto posizioni di tipo populista i dirigenti del PtB rispondono con l’idea di costruzione di un “socialismo 2.0” “Vogliamo proporre un pensiero basato sull’analisi di classe, ma adattato alla situazione di oggi. Non certo un copia –incolla della retorica del XIX secolo”.

Pensando anche ai fenomeni del Labour condotto da Corbyn e alla campagna elettorale di Sanders negli USA sorge, a questo punto, un interrogativo: l’analisi di classe che si rivendica, non reca forse con sé l’idea della redistribuzione delle risorse verso il basso ma all’interno del sistema?

Il respingimento dell’etichetta populista avviene, infatti, riproponendo la sostanza (con tutti gli aggiornamenti del caso) del dettato della socialdemocrazia di sinistra puntando a occupare lo spazio politico lasciato dallo spostamento a destra del partito socialista.

Spostamento a destra del PS verificatosi in funzione della logica della governabilità ormai adottata da molti anni quale solo scopo di esistenza del partito.

Le analogie con la situazione italiana e quella francese (i risultati elettorali dello scorso settembre indicano analogie anche con lo stato dell’arte in Germania) appaiono evidenti.

D’altro canto se si intende, oggi nel 2017, ripartire dalla crisi della sinistra tradizionale (“corrupta” dal ruolo di governo in chiave blairiana tenuto nel primi anni del’2000 poco avanti la grande crisi dei subprime) collegandosi direttamente alla realtà delle contraddizioni sociali, considerando ancora come centrale quella anticamente definita come “principale” è difficile sfuggire a questa logica.

Siamo di fronte ad una nuova forma di “doppiezza” che investe anche l’elaborazione riguardante l’intreccio tra le contraddizioni materialiste e post – materialiste all’interno di un progetto di nuova costruzione sociale.

Una doppiezza che consente al Partito agire in una funzione prevalentemente economicista legata alla materialità delle condizioni di vita oggi drammaticamente messe in discussione dall’egemonia capitalistica: stipendi, pensioni, occupazione, welfare.

Il partito radicale di massa che fu il PCI su questa linea si arrestò sul fronte delle compatibilità, una volta elaborato il progetto del “compromesso storico” (poi declinato disastrosamente nella “solidarietà nazionale” seguendo la vocazione governativista).

 In precedenza però, almeno dal fronte sindacale, erano venuti principi ben diversi dalla solita logica dei due tempi. Toccò a un moderato come Lama dichiarare “l’indipendenza della dinamica dei salari da profitto” e sottoscrivere, con l’avvocato Agnelli, l’accordo sul punto unico di contingenza (massimo segno dell’egualitarismo nella situazione italiana).

Su questi due punti poteva valere allora l’accusa di “populismo”, oppure si puntava alla redistribuzione all’interno del sistema?

La questione oggi, prendendo spunto proprio dalla necessità di analizzare ciò che sta avvenendo in un esempi così importante come quello del PtB, è quella di come riprendere in mano una strategia da socialdemocrazia di sinistra in un quadro di ideologia egualitaria.

Una strategia di redistribuzione economico – sociale in un quadro di “tensione egualitaria” da attuarsi proclamando il “non rispetto” delle compatibilità.

 Tanto più che il regime di compatibilità vigente deriva in gran parte dal potere ai più occulto esercitato da un mostro apparentemente inafferrabile come quello costruito dall’applicazione del trattato di Maastricht (e successivi) e che ha sede tra Bruxelles e Francoforte.

Per il Ptb, oltre a questo tipo di questioni, si pone anche il tema dell’unità nazionale belga considerato che il Partito ottiene risultati molto più rilevanti in Vallonia rispetto alle Fiandre dove è molto attiva una destra indipendentista che intende contrapporre le Fiandre “di destra” alla Vallonia “di sinistra”, sfruttando il tema in una vocazione separatista.

Un tema molto complicato anche per noi che si evince nella difficoltà di tenere assieme e contrastare i termini della critica feroce all’Unione Europea e l’apparire di logiche sovraniste, che pure potrebbero sorgere anche nell’ambito della sinistra più radicale.

Sovranismo e nazionalismo sono due pericoli sempre in agguato, in particolare in una fase come questa di scivolamento a destra e di razzismo latente alimentato dalla più stretta attualità

E non vale richiamare comunque come punto di esorcismo verbale una vocazione internazionalista che, in questo momento, pare avere pochi agganci con la realtà nella concreta pratica politica a livello sovranazionale.

Anche quest’ultimo appare un motivo non secondario di riflessione, all’interno del quadro più ampio che pure il riferimento belga ci offre in particolare in un momento in cui si discute anche in Italia di partecipazione elettorale in assenza di un soggetto politico di riferimento che rimane tutto da costruire (verificheremo, infine, quanto i sondaggi saranno risultati credibili, ma il meccanismo che è stato messo in moto dalla crescita evidente del PtB appare proprio al momento inoppugnabile).

FRANCO ASTENGO

17 novembre 2017

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