Il canto felice dell’elemosina

Bisceglie non è soltanto una ridente cittadina apula, ma è anche e soprattutto (non me ne vogliano gli apuli) il capolinea della Linea 1 della Metropolitana (con la M...

foto_11_1Bisceglie non è soltanto una ridente cittadina apula, ma è anche e soprattutto (non me ne vogliano gli apuli) il capolinea della Linea 1 della Metropolitana (con la M maiuscola) milanese. O meglio, tale capolinea è sito in Via Bisceglie, ma nessun milanese direbbe mai “Via Bisceglie”. Essendo la 1 la principale delle metropolitane meneghine, la mitica “linea rossa” (locuzione che ricorda antichi volantini di gruppuscoli dell’ultrasinistra) diviene la sintesi plastica di tutto ciò che oggi potrebbe definirsi “Milano”: la terra di mezzo in cui confluiscono voci, passioni, colori, storie, gioie, dolori e piccole sfighe la cui somma dà vita all’essenza della città, dato tanto impalpabile, quanto reale, in una mescolanza per cui il totale non è mai soltanto l’insieme delle singolarità ma un qualcosa che vive di vita propria e che, a sua volta, fa brillare di luci riflesse tutte quelle singolarità che si incontrano e si scontrano lungo le strade e sotto di esse.

Milano- Bisceglie, con le sue pensiline sotto cui stazionano gli autobus per Trezzano, Rho ed altri luoghi esotici, diventa anche il punto in cui le fini e gli inizi si toccano, in cui la campagna di Cusago cede il passo alla tangenziale ovest-ipercoop-rotonde-parcheggi e ad una fila di palazzi bianchi, mentre, di fronte, il carcere minorile Beccaria, guarda nascere il “parco delle cave”, l’ultima speculazione edilizia della zona, perché oggi, quando si costruiscono palazzi di cemento, si dice “parco”, allo stesso modo in cui quando si fa un inceneritore si dice “termovalorizzatore” o quando si fa un massacro sociale si dice “riforma”. Al disotto della piazza con la pensilina, la metropolitana si divide lo spazio con un parcheggio seminterrato sopra al quale è cresciuto un prato che di primavera si riempie di fiori, così come si riempie di scritte il muro che lo divide dal capolinea degli autobus. “ Hai la discoteca ma non hai i soldi per la discoteca”, “W le case occupate”: anche la coscienza di classe qui sfuma nel postmoderno, così come l’orizzonte che si staglia dietro al prato: il bellissimo – sì, bellissimo – panorama di Lorenteggio con i suoi grattacieli autopulenti e, più in là, un cielo sa essere azzurro come solo il cielo sa fare in certi giorni a Milano, alla faccia di nebbia, microparticelle e pregiudizi.

Ma è al tramonto che Bisceglie dà il meglio di sé, quando la luce vaporosa, portando gli odori della campagna e facendo presentire l’Appennino che da qui a volte si vede, per qualche strana alchimia dell’anima, rende questa periferia, per niente non luogo, un iperluogo in cui convergono città e orizzonte, campagna e viaggio, apertura del cielo come apertura dello spirito e vita pulsante improvvisa nelle voci concitate dei ragazzi che salutano i detenuti del Beccaria urlando loro da una sorta di garitta di cemento sospesa nel nulla oppure quando, come oggi, ho sentito cantare la ragazza che chiedeva l’elemosina nel metro. Agitando un bacchetto di legno contro la grata che separa l’ultimo pezzo di asfalto dal primo di terra, saltellava e sorrideva. Perché, come diceva Rimbaud, non si è seriosi a diciassette anni (libera traduzione: “serieux”, più che “seriosi”, significa “seri”, ma a me piace di più così) e lei, mi ha detto, ha proprio quell’età. Siamo quasi coetanei.

ENNIO CIRNIGLIARO

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