L’equo compenso per il lavoro autonomo è diventata legge il 13 aprile. è stata presentata dalla presidente del Consiglio Meloni come «il salario minimo dei professionisti». I dipendenti non lo vedranno mai, nemmeno con il suo governo. Così non è perché discrimina tra il lavoro autonomo professionale e quello non regolamentato. E trascura anche le differenze enormi che esistono tra il lavoro autonomo cosiddetto «affluente» e quello proletarizzato che non ha il potere di negoziare con i committenti, grandi e piccoli.

«Una norma – hanno spiegato Cgil, NIdiL, Apiqa – che si riferisce solo ai rapporti di lavoro con grandi committenti, banche e assicurazioni, e con le Pubbliche Amministrazioni, limitando nei fatti la platea dei lavoratori autonomi coperti. Inoltre, divide fra professioni ordinistiche e non, invece che garantire pari diritti.

Resta la sanzione inaccettabile a carico del professionista ordinista nel caso accettasse prestazioni al ribasso, pur essendo il lavoratore in posizione di debolezza rispetto al committente». La doppia pena della partita Iva: non solo sarà ricattabile, e dovrà accettare compensi minimi sotto soglia ma rischierà di essere punita dall’ordine professionale.

Senza contare che la platea dei beneficiari reali della legge sarebbe molto ristretta a chi lavora per banche, assicurazioni o pubbliche amministrazioni e imprese con più di 50 dipendenti o fatturato superiore a 10 milioni di euro.

In totale 78 mila soggetti. Nel 2021 le aziende in attività erano più di un milione e 600 mila. Questo aspetto della legge era stato denunciato dall’associazione dei freelance Acta secondo la quale la legge «amplia le discriminazioni tra professionisti, rende difficile e costoso ogni eventuale contenzioso, non tutela da situazioni di asimmetria nel potere contrattuale, non stabilisce criteri definitori dell’equità del compenso».

Le destre hanno aumentato il divario tra lavoro autonomo regolamentato e quello freelance. Hhanno riprodotto l’approccio corporativo a difesa degli interessi costituiti e hanno reso invisibili i nuovi professionisti senza ordine o albo, esposti alle pressioni del mercato e alla richiesta di flessibilità estrema, e di commesse sottopagate.

Per Acta sarebbero 800 mila le partite Iva in queste condizioni. Nel 2021 il reddito medio degli iscritti alla gestione separata Inps era 15.129 euro, in diminuzione del 12,7% rispetto al 2015, quando era di 17.047 euro. Oltre il 50% degli iscritti ha un imponibile non superiore ai 10 mila euro, che corrisponde a un netto inferiore a 7 mila euro, nell’area della povertà assoluta. Per le donne e i giovani la situazione è ancora più drammatica.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

Foto di Ono Kosuki