Deshima, l’isola degli olandesi

In Giappone esisteva un luogo destinato solo ai mercanti stranieri. Fu costruita in epoca Edo, nel 1634, per volere dello shogun Tokugawa Iemitsu. Vi sostavano categorie speciali di persone come donne di piacere, cuochi, carpentieri

Deshima o Dejima, letteralmente «isola d’uscita» in giapponese, anche conosciuta come l’isola degli Olandesi, è uno dei luoghi più curiosi dell’arcipelago giapponese, facendone parte pur essendo artificiale e collocata all’interno del porto di Nagasaki nell’isola meridionale di Kyushu. Un ventaglio di terra, si potrebbe dire data la sua forma, di circa 15.000 metri quadri, risultato dal taglio di una penisola che si spingeva fin dentro la baia di Nagasaki attraverso un canale e collegato alla terraferma solamente da un ponticello guardato a vista su entrambi i lati.

La sua costruzione avvenne in epoca Edo, nel 1634, per volere dello shogun Tokugawa Iemitsu che emanò una serie di leggi per circostanziare la presenza degli stranieri in territorio giapponese a soli fini commerciali senza che questi stanziassero in terraferma, come parte della politica definita del sakoku (paese chiuso) che limitava i contatti e gli scambi con gli stranieri. Il terreno era di proprietà di alcuni mercanti locali ma sotto la giurisdizione giapponese e vi furono in qualche modo relegati i mercanti portoghesi inizialmente e, in seguito, gli olandesi a partire dal 1641.
Di fatto, Nagasaki per la sua posizione strategica ha sempre rappresentato per il Giappone un punto di contatto chiave con il resto del mondo, sia in quanto a spostamento di genti sia per l’introduzione di novità culturali e scoperte scientifiche, essendo il primo punto di attracco delle navi provenienti dall’Europa, dall’India e dalla Cina.

Ciò che portò a una chiusura da parte del governo militare Tokugawa verso i portoghesi fu la sempre più forte influenza che questi ebbero nell’evangelizzazione del Giappone già dalla metà del XVI secolo attraverso la presenza dei gesuiti e in particolare del missionario Francesco Saverio che condusse alla conversione del daimyo Omura Sumitada (1533-1587), signore di Shimabara.
Una conversione che segnò una svolta nei rapporti del Giappone con gli stranieri in generale, perché si rivelò non solo un legame di patronato religioso Sumitada-portoghesi ma sfociò in un’alleanza politica contro quei feudi confinanti che vedevano di malocchio la presenza straniera e la messa a repentaglio delle tradizioni religiose locali e nel passaggio di Nagasaki sotto la giurisdizione gesuita dal 1580 al 1587.
Alla fine, questo invischiamento della religione con il commercio comportò come conseguenza grave l’espulsione dei portoghesi dal territorio nipponico e gli unici a essere ammessi, oltre ai cinesi, ma solo nell’isola di Deshima, furono gli olandesi, al punto che l’Olanda fu assimilata all’intera Europa. «Oranda» significava Occidente, gli studi olandesi (rangaku) comprendevano lo studio delle cose occidentali e tutto ciò che entrava da Deshima attraverso le navi di quel paese era indistintamente Europa.

Sull’isola circondata da mura si trovavano magazzini e abitazioni in mattoni per una ventina di olandesi controllati da guardie durante tutte le ore del giorno, vi era un governatore delegato a tenere i rapporti per l’autorità giapponese e un Kapitan o Opperhoofd che era l’ufficiale rappresentante olandese; solo una volta l’anno era permesso a questi portare in dono allo shogun a Edo mercanzie che rappresentavano le novità scientifiche e tecnologiche occidentali. Una delegazione che avveniva in pompa magna e comportava giorni di viaggio lungo le vie principali che collegavano il sud del Giappone e la capitale imperiale di Kyoto alla capitale amministrativa di Edo contribuendo alla diffusione lecita e illecita di «cose curiose» (kiki) d’ogni genere lungo la via.
Da Deshima arrivarono i primi prodotti della scienza in campo ottico come cannocchiali e microscopi, meccanico (orologi e pompe idrauliche), ma anche le scoperte in campo medico e anatomico, chimico, fisico, astronomico.
I primi laboratori di chimica nacquero proprio a Deshima e nei dintorni di Nagasaki, sponsorizzati dai signori feudali locali, dalla classe samuraica, che patrocinava ricerche, esperimenti, traduzioni e interpreti per cercare di rendere fruibili e applicabili i tanti manuali che arrivavano e l’esperienza degli stranieri di stanza nell’isola. Fu in quest’ambito che avvennero anche i primi esperimenti fotografici con equipaggiamenti importati e in seguito assemblati in loco, così come avvenne attraverso Deshima l’importazione delle prime vedute settecentesche europee che insegnarono agli artisti giapponesi dell’epoca l’utilizzo della prospettiva, del chiaroscuro e delle altre tecniche pittoriche occidentali.

Esiste una silografia policroma di Toyoharu degli anni Sessanta del Settecento che rappresenta, secondo le modalità delle stampe ukiyoe ma con l’uso della prospettiva, una veduta del Canal Grande di Venezia copiata da un’incisione di Visentini che riprende un dipinto di Canaletto, peccato che il titolo dell’opera in questione identifichi la località come un porto olandese! Segno dell’allentamento nelle restrizioni delle importazioni dato dall’ottavo shōgun Yoshimune negli anni quaranta del Settecento, per il suo interesse verso le scienze occidentali, ma anche del ruolo privilegiato che l’Olanda aveva rispetto al mondo.

Da Deshima non era permesso uscire ma neppure entrare, fatta eccezione per speciali categorie di persone su permesso dell’autorità per svolgere determinati servizi, tra cui donne di piacere, cuochi, carpentieri. L’isola diventò il punto di riferimento per la scienza e il centro di eccellenza a cui potevano rivolgersi abbienti giapponesi per consulenze mediche, fisiche, chimiche fino alla metà dell’Ottocento, quando la flotta americana del Commodoro Perry, forzata l’apertura dei porti nel 1854, accompagnò il Paese alla firma di Trattati di amicizia e commercio con le varie potenze del mondo ponendo fine alla singolarità di Deshima. L’isola non solo perse il suo ruolo ma finì con l’essere inglobata e reintegrata nel suolo di Nagasaki senza che i suoi confini fossero più riconoscibili.
Il porto venne riqualificato in un progetto che durò otto anni a partire dal 1883 con il fiume Nakashima dirottato e fatto defluire proprio davanti a Deshima per riempire il lembo di terra mancante nella parte concava dell’isola. In un secondo momento, tra il 1897 e il 1904, l’isola fu ulteriormente assorbita nei nuovi lavori di riempimento delle due banchine laterali del porto di Nagasaki. Ne 1922 Deshima è stata designata tesoro nazionale e nell’ultimo ventennio sembra essersi fatta strada poco a poco l’idea di recuperare il piano originario in una vera e propria replica.

A partire da alcuni scavi e ritrovamenti e sulla base dei tanti disegni e stampe dei secoli precedenti, dal 1995 e fino al 2000, anno del quattrocentesimo anniversario, è cominciata la ricostruzione di cinque strutture architettoniche presenti in origine nell’isola.
Dal 2016, una nuova fase del progetto dovrebbe portare alla ricostruzione di un gruppo di sei edifici di inizio Ottocento affacciati sulla strada principale dell’isola e al recupero di questa, concludendosi quest’anno con la ricostruzione dell’unico ponte che connetteva l’isola a Nagasaki anche se l’idea più ambiziosa sarebbe di riportare l’area alla forma di ventaglio originale completamente circondata dall’acqua.

ROSSELLA MENEGAZZO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Lo scaffale della storia

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