Alternanza scuola-lavoro, «Non siamo i vostri schiavi»

70 in condotta. Cortei in settanta città contro l’educazione alla precarietà di 1,5 milioni di studenti. Dalla leva obbligatoria al precariato obbligatorio. La rivolta di una generazione: «No allo sfruttamento»

C’è il ragazzo romano di 17 anni obbligato «a pulire i tavoli e bagni da Mc Donalds», mentre studia al liceo. E poi il racconto dei ragazzi napoletani di un istituto tecnico, indirizzo di biotecnologie ambientali. Loro sono finiti in un prosciuttificio e in un agriturismo dove hanno lavorato i prosciutti, zappato e operato in una serra.

Una ragazza ha raccontato la sua esperienza di commessa in un negozio di scarpe in periferia a Roma. Lei, in realtà, fa il liceo: «Se mi avessero mandato in centro, almeno avrei parlato con i turisti in inglese o francese», dice sconsolata. Attività non connesse con i piani di studio, centinaia di ore sprecate in attività che, probabilmente, non avranno seguito.

«Tempo inutile»: è la sintesi, efficace, degli studenti del sistema di «alternanza scuola-lavoro» inventato e reso obbligatorio dalla «Buona Scuola» di Renzi per 1,5 milioni di studenti delle scuole superiori. Ragazzi vincolati ad andare fino in fondo perché la relazione sul loro «tirocinio non professionalizzante» influirà sul voto dell’esame di maturità. Un sistema «unico in Europa» rivendica il ministero dell’Istruzione sul sito dedicato. Parere molto diverso, invece, è quello degli studenti che ieri hanno manifestato contro questa «unicità» in settanta città, nel primo sciopero dell’autunno.

Da Roma a Palermo, da Genova a Bari è stato ribadito che «Non siamo i vostri schiavi», lo slogan più gettonato. E poi: «Lavare i piatti non è formazione», così come non lo è «fare le fotocopie in una multinazionale». «Esperienza che così come sono fatte di formativo non hanno nulla». «Non siamo merce». E ancora: «Il lavoro dev’essere pagato, lo studente non deve essere sfruttato». Più che all’alternanza scuola-lavoro, abbiamo letto su un enorme striscione rosso a Roma che gli studenti vogliono «salari e diritti in alternanza». È tornata a fare capolino tra cortei nutriti (10 mila ragazzi in piazza in Puglia) una sensibilità forte e comune è stata scritta sui cartelli e sugli striscioni, urlata in slogan che hanno evocato il ritorno di una «generazione ribelle», la necessità di un «contrattacco» dopo anni di arretramento provocato dalle «riforme» come quella sulla scuola, o il Jobs Act.

A Milano ci sono stati lanci di uova e fumogeni contro alcune sedi delle aziende che hanno firmato i protocolli di «alternanza scuola-lavoro» con il Ministero dell’Istruzione: Mc Donald’s, Zara e Edison, in particolare. A Palermo un sit-in di un gruppo di studenti, non autorizzato, ha creato tensioni con la polizia. Un livello di dissenso simbolico che tuttavia è stato stigmatizzato dalla ministra dell’Istruzione Fedeli come «vandalismo». L’ormai scarsa abitudine al conflitto, e ai suoi linguaggi, porta in questo paese a declinare profonde ragioni politiche, sociali ed esistenziali profonde nei termini del «decoro» urbano.

A Bologna è stata presa di mira la multinazionale olandese Randstad che si occupa di selezione e formazione del personale per Fico, la Disneyland del cibo di prossima apertura. A rivendicare il blitz, «Cseno-Collettivo studentesco Senza Nome» e Link-studenti indipendenti: «Per la Fedeli è FICO sfruttare gli studenti». Sono stati attaccati poster che rappresentavano «le figure che più vogliono gli studenti inseriti nel precariato: Renzi, Farinetti e la ministra Fedeli». A Bologna Fico recluterà 20 mila ragazzi in «alternanza».

Dalla leva obbligatoria al precariato obbligatorio. Ieri come oggi i giovani sono l’oggetto di una sperimentazione. L’«alternanza» – abbreviata con l’acronimo di «Asl» – non è un tirocinio a un lavoro specifico, con precise competenze. Al contrario insegna a essere disponibili a un lavoro qualsiasi, non a trovare la propria libertà anche attraverso un lavoro. La terza generazione del precariato (dopo quella del «pacchetto Treu del centro-sinistra anni Novanta e quella dei governi Berlusconi) oggi deve abituarsi al lavoro gratuito e affrontare, sin da piccoli, il rischio di restare vittima di abusi e violenze, fisiche e psicologiche in quel mondo più grande che chiamano «lavoro».

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Scuola di lotta

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